Inversione curva rendimenti Usa: strategist consigliano di non andare nel panico recessione
Il rischio recessione non solo non sta rientrando, ma continua a salire e l’inversione della curva dei rendimenti Usa è solo uno dei tanti segnali che lanciano l’alert.
Basti pensare alla nota di quattro mesi fa appena, in cui la divisione di analisi di JP Morgan intravedeva una probabilità dell’arrivo di una recessione in Usa, nel corso dei due anni successivi, pari al 60%, e a come questa stessa nota sia cambiata a gennaio, nel senso che JP Morgan ha poi prezzato lo stesso scenario con la stessa probabilità ma tra un anno, e non più tra due.
La probabilità a 1 anno è decisamente balzata, se si considera che a fine 2018 era stata data ad appena il 28%. Ed è stata prezzata, hanno spiegato dalla banca, dall'”azionario Usa, dai bond e le commodities”.
Da allora le probabilità di una recessione sono soltanto salite, tanto che ora i futures sui fed funds scommettono con una probabilità del 69% su un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve di Jerome Powell entro la riunione del Fomc del gennaio del 2020.
Tra l’altro è stato lo stesso Charles Evans, presidente della Federal Reserve di Chicago, a dire qualche ora fa da Hong Kong che, a suo avviso, non ci sarà alcun rialzo dei tassi prima della seconda metà del 2020.
Ma la seconda metà del 2020 è anche quella dell‘Election Day e, per quanto indipendente, è improbabile che Jerome Powell – già finito nel mirino di Donald Trump diverse volte per aver alzato i tassi – decida di varare una stretta monetaria proprio in quel periodo.
La paura che le cose si stiano mettendo davvero male ossessiona nel frattempo gli investitori, che scontano appunto l’inversione della curva dei rendimenti, rappresentata dallo spread tra i tassi dei Treasuries Usa a tre mesi con quelli dei Treasuries a 10 anni.
Questa curva si è invertita lo scorso venerdì per la prima volta dal 2007, ovvero per la prima volta dall’inizio della Grande recessione. L’allarme si è fatto sentire così a inizio settimana anche in Asia, con la borsa di Tokyo capitolata del 3%.
Ma anche il forex sta scontando l’avversione al rischio degli investitori, così come lo stesso sta facendo il petrolio.
Allo stesso tempo, c’è qualcuno che invita a non andare nel panico: è il caso di Kristina Hooper, global strategist presso Invesco, che sottolinea che l’inversione della curva dei rendimenti Usa “sta pesando sulla fiducia degli investitori”.
Tuttavia, la strategist sottolinea anche che “è necessario ricordare che una curva dei rendimenti invertita non necessariamente provoca una recessione. E’ semplicemente un buon indicatore che segnala il suo arrivo. Ma gli investitori non dovrebbero andare nel panico”.
Tra l’altro, non si tratta di un segnale perfetto visto che, giusto per fare un esempio, alla fine del 1966 la curva si è invertita e nessuna recessione ha colpito gli Usa fino alla fine del 1969.
Tanto che Frances Donald, responsabile della strategia dei tassi presso Manulife Asset Management, scrive:
“Siamo così abituati a sentirci dire che una recessione è in arrivo che la mia preoccupazione è che le aziende e le famiglie si spaventino così tanto da riuscire a crearla”.
Venerdì scorso, a conferma dell’inversione della curva, i tassi decennali dei Treasuries Usa hanno ceduto fino a quasi 10 punti base, capitolando fino al 2,444%, per effetto degli acquisti che hanno interessato i titoli di stato Usa a lungo termine (vale la pena ricordare la relazione inversamente proporzionale tra tassi e valore delle obbligazioni): i tassi decennali sono scesi così al di sotto del 2,467% dei tassi dei Treasuries a tre mesi.
La notizia ha innervosito gli operatori. D’altronde dai dati raccolti dalla Federal Reserve di San Francisco emerge che le ultime nove volte che la curva dei rendimenti si è invertita, l’economia americana è piombata in una recessione.