Notizie Dati Macroeconomici Inflazione Usa rallenta a marzo: la view degli analisti su Fed e dollaro

Inflazione Usa rallenta a marzo: la view degli analisti su Fed e dollaro

10 Aprile 2025 15:33

Segnali di rallentamento dall’inflazione statunitense a marzo, appena prima dell’escalation commerciale che ha portato i mercati sull’ottovolante negli ultimi giorni. L’indice dei prezzi al consumo rallenta oltre le attese al 2,4%, con il dato core in frenata al 2,8%. I dati alleviano leggermente i timori per una nuova fiammata inflazionistica, ma per avere un quadro più chiaro bisognerà attendere nuovi dati che includano il periodo successivo all’introduzione dei dazi.

I dati sull’inflazione Usa

A marzo l’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti ha registrato una flessione dello 0,1% su base mensile (primo calo da quasi cinque anni), rispetto alle attese di crescita dello 0,1% e al +0,2% del mese precedente. Su base annua, il Cpi rallenta dal 2,8% al 2,4%, a fronte del 2,5% del consensus.

L’indice core, che esclude le componenti più volatili (alimentari ed energia) mostra un aumento congiunturale dello 0,1% (stima +0,3%), il minimo da cinque mesi, e una crescita tendenziale del 2,8%, meno del 3,0% previsto e del 3,1% di febbraio. Si tratta del ritmo più basso da quattro anni.

A favorire il rallentamento sono stati i cali dei costi energetici, delle auto usate e delle tariffe aeree, nonché da una crescita più lenta dei prezzi dell’abbigliamento.

Prezzi in rallentamento prima dei dazi

I dati sull’inflazione forniscono un certo sollievo per i consumatori, ma la tregua potrebbe essere di breve durata, visto che i dati fanno riferimento al periodo che precede l’entrata in vigore dei nuovi dazi.

Ricordiamo che Trump ha annunciato ieri una sospensione di 90 giorni delle tariffe reciproche per la maggior parte dei Paesi, mantenendo solo le imposte universali del 10%. Fa eccezione la Cina, verso cui l’amministrazione Usa manterrà in vigore tariffe del 125% dopo le ritorsioni di Pechino di questa settimana.

L’escalation commerciale rischia di alimentare le pressioni sui prezzi, attraverso un incremento dei costi che potrebbe essere trasferito ai consumatori finali. Uno scenario ipoteticamente problematico per la Fed, impegnata a riportare l’inflazione verso il target del 2%.

Le attese sulle prossime mosse della Fed e la reazione dei mercati

Al momento, i mercati prevedono almeno tre tagli dei tassi da parte della Fed nel corso dell’anno. La probabilità di una riduzione già a maggio è piuttosto contenuta, inferiore al 25%, mentre le chance di un intervento entro giugno salgono oltre il 90%.

La banca centrale sta mantenendo un atteggiamento prudente, in attesa di valutare gli effetti delle politiche commerciali sulla crescita e sull’inflazione, mentre molti analisti cominciano a prendere in considerazione l’eventualità di una recessione degli Stati Uniti.

“Data l’importanza fondamentale di mantenere ancorate le aspettative di inflazione a lungo termine e il probabile aumento dell’inflazione a breve termine dovuto ai dazi, l’asticella per il taglio dei tassi anche di fronte a un’economia in indebolimento e a un potenziale aumento della disoccupazione è più alta”, ha scritto il presidente della Fed di Minneapolis, Neel Kashkari, in un saggio pubblicato ieri, facendo intendere che difficilmente la banca centrale si muoverà nella prossima riunione.

I Treasury hanno guadagnato terreno dopo i dati, con il rendimento del biennale in calo di 5 bp al 3,85% mentre il decennale scambia poco mosso al 4,34%. L’azionario ha aperto in calo dopo la rimonta della seduta precedente mentre il dollaro si indebolisce nei confronti delle principali valute, con l’euro/dollaro a 1,112 e il dollaro/yen a 145,2.

Il commento degli analisti su inflazione in ottica Fed e dollaro

Gli analisti sottolineano la portata limitata del dato odierno alla luce dello scenario macro in rapida evoluzione degli ultimi giorni.

Per Kay Haigh, co-responsabile globale Fixed Income and Liquidity Solutions di Goldman Sachs Asset Management, il Cpi “più debole del previsto, appare superato alla luce dei profondi cambiamenti nelle politiche commerciali degli ultimi giorni. Guardando al futuro, la Fed si troverà probabilmente ad affrontare un difficile compromesso, poiché gli aumenti dei prezzi legati ai dazi inizieranno a riflettersi nei dati sull’inflazione, mentre l’attività economica resterà modesta. Ci aspettiamo che la reazione iniziale della Fed sia prudente, ma permangono i rischi che un rallentamento dell’economia più marcato del previsto possa portare alla ripresa del ciclo di allentamento monetario da parte della Fed.”

Secondo Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, “le basse pressioni inflazionistiche aumentano le probabilità di una Fed ‘dovish’, ovvero avere un atteggiamento molto più accomodante del previsto per sostenere la ripresa economica e il mercato del lavoro Usa”.

Per quanto riguarda il calo del dollaro, secondo l’esperto “il biglietto verde risente dell’aumento delle aspettative di una possibile recessione negli States, della perdita di fiducia di molti investitori sulla stabilità dell’economia Usa guidata da Donald Trump, del clima di incertezza sulle prossime mosse dell’attuale amministrazione in termini di dazi, sul deflusso di capitali dagli Stati Uniti verso altri lidi internazionali, sulla perdita dello status di valuta rifugio. L’amministrazione Trump dovrà dare ulteriori chiarimenti sulle prossime mosse di politica economica per diminuire l’incertezza sui mercati ed eliminare le tensioni.”

Da seguire domani i dati sui prezzi alla produzione, la fiducia dei consumatori Usa e l’avvio delle trimestrali, che potrebbero fornire indicazioni sull’impatto dei dazi a livello societario.