Notizie Notizie Italia Incubo default per il Vaticano, le rivelazioni del monsignor Salerno e il ruolo di JP Morgan

Incubo default per il Vaticano, le rivelazioni del monsignor Salerno e il ruolo di JP Morgan

Pubblicato 21 Ottobre 2019 Aggiornato 22 Ottobre 2019 17:04

Il deficit della Santa Sede nel 2018 è raddoppiato a 70 milioni di euro su un budget di circa 300 milioni e da lì Papa Francesco è corso ai ripari affidando al cardinale Reinhard Marx il compito di rimettere in sesto i conti. “Vi chiedo di studiare tutte le misure ritenute necessarie per salvaguardare il futuro economico della Santa Sede e per assicurare che siano messe in atto il prima possibile”, ha scritto Papa Francesco al cardinale Reinhard Marx in una lettera datata maggio scorso e riportata dal Wall Street Journal.

Santa sede a rischio default

La missiva sarebbe un ultimo atto del capitombolo finanziario su cui si starebbe dirigendo inesorabilmente il Vaticano. Lo scrive nero su bianco Gianluigi Nuzzi nel libro intitolato “Giudizio Universale (Chiarelettere) in cui il giornalista continua la sua indagine sui misteri del Vaticano, sulla base di “testimonianze, interviste choc a monsignori e cardinali, e su tremila documenti riservati, con i più recenti che arrivano all’estate del 2019”. E’ il 15 maggio 2018 quando si riunisce nella sala Bologna il Consiglio per l’Economia che il Papa ha creato per affrontare l’emergenza finanziaria e  sul tavolo il dossier è drammatico: entrate in rosso, crescita incontrollata dei costi per il personale, svalorizzazione degli asset, buchi pericolosi nel fondo pensioni. Da qui il Consiglio per l’Economia decide di informare il Santo Padre perché “il deficit che affligge la Santa Sede – scrive Nuzzi – ha raggiunto livelli preoccupanti, a rischio di condurre al default.  C’è un altro grande problema che emerge e che sembra affliggere la Santa Sede: la mancanza di trasparenza.

A luglio il Consiglio denuncia che «mancano le informazioni fondamentali per determinare in modo esatto e corretto il deficit». Ma il Vaticano pare “resistere visto che il Santo Padre ha diritto a utilizzare a propria assoluta discrezione”. Come scrive Ezio Mauro su Repubblica, che anticipa alcuni passaggi del libro di Nuzzi, la Curia si oppone all’operazione-trasparenza usando come scudo la provvista riservata del pontefice, che nessuno conosceva. “Quei fondi infatti sono gestiti dall’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, una sorta di “terza banca”, come viene chiamato in Vaticano. Il meccanismo di approvvigionamento del conto segreto di questo “ufficio” viene descritto nel libro da monsignor Francesco Salerno, che ha servito 5 Papi (anche come segretario della Prefettura degli affari economici), e che prima di morire ha parlato con Nuzzi: “I cardinali Nicora e Ruini avevano studiato il sistema perfetto. Per norma tutti i vescovi devono dare un contributo alla gestione finanziaria centrale della Chiesa. Il sistema prevedeva che dall’importo versato da ogni vescovo delle 226 diocesi italiane venisse trattenuta una percentuale. La provvista veniva passata alla Santa Sede utilizzando il nunzio apostolico, cioè il corridoio diplomatico” si legge. Inoltre, dice  Salerno, “Jp Morgan riceveva soldi dalla segreteria di Stato e poi li portava fuori dai confini attraverso la sede di Milano”.

“Grazie” alla crisi finanziaria vaticana, il 58% dell’Obolo di San Pietro non finisce in opere di carità, ma serva a ripianare i buchi della Curia, mentre il 20% viene tenuto fermo nei depositi:  a conti fatti su 10 euro raccolti nelle offerte solo 2 vanno ai bisognosi. Nel libro di Nuzzi si mette in evidenza il continuo calo di donazioni che arrivano al Vaticano. I veleni vaticani si intrecciano alla crisi finanziaria e la complicano, scrive ancora Mauro ricordando come in questo quadro a tinte fosche si unisce il macigno dello Ior, la banca vaticana. Nel 2013 Papa Francesco riunisce il gruppo di lavoro e chiede di valutare se lo Ior debba essere ridimensionato, riformato, riconfigurato e se è il caso di pensare a una struttura completamente nuova e chiede così 45 soggetti un rapporto sulle attività legate allo Ior. Ma oltre il 20% dei dirigenti non risponde nemmeno, mentre i conti precipitano.