IFMA (Italian Financial Markets Advisors): una proposta alternativa per la Tobin Tax
Siamo in presenza di una tassa che danneggia il sistema economico con una flessione del PIL e che, con ragionevole certezza, genererà un calo delle entrate per lo Stato, producendo solo disoccupazione e inflazione. Come se tutto ciò non bastasse, la tassazione prevista esclude gli speculatori internazionali, mentre va a colpire in modo indiscriminato i risparmiatori italiani.
Fuga dei capitali
Il governo ha ammesso, nella relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge sulla stabilità, un calo degli scambi sui mercati italiani pari a 7.000 miliardi di euro. Ci domandiamo: può il sistema economico italiano permettersi il lusso di perdere una concentrazione di risorse di queste dimensioni?
A tale riguardo, non è difficile immaginare che i flussi di denaro in uscita dai nostri mercati (azionario ed obbligazionario) saranno intercettati in primo luogo da Gran Bretagna, Stati Uniti e Svizzera. Per altri aspetti, direttamente connessi allo spread con i nostri titoli di stati, favorita in questo processo appare anche la Germania.
Infatti, dal momento che, nell’impostazione italiana della legge vengono esclusi i titoli di stato, è facile pensare che importanti flussi di capitale si dirigeranno verso il Bund, con incalcolabili ripercussioni sullo spread fra lo stesso e i titoli governativi italiani. Proseguendo nella lista dei paesi che contribuiremo ad arricchire va menzionata anche l’Olanda.
L’Italia (in attesa dell’approvazione del testo promosso da 10 paesi dell’Unione Europea) sarà pertanto l’unico paese al mondo ad avere una c.d Tobin Tax di stampo così penalizzante per il Sistema Paese. Infatti, il testo approvato in Francia, ad agosto, non coinvolge i derivati, esclude i titoli più piccoli per capitalizzazione e le operazioni aperte e chiuse in giornata.
E’ poi noto a tutti gli osservatori e tecnici della materia che la tassa sulle transazioni finanziarie non ci sarà sicuramente in quasi due terzi dei paesi Ue. I paesi contrari sono: Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Irlanda, Cipro, Gran Bretagna, Malta, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Lituania, Lettonia, Romania e Bulgaria.
Fra questi vanno ricordati il caso della Svezia e della Gran Bretagna. La prima l’ha già sperimentata negli anni 80 (assieme alla Francia), con effetti talmente devastanti da costringere il legislatore a fare marcia indietro. In gran Bretagna è stata introdotta un’imposta analoga chiamata Stamp Duty (aliquota 0,50%) ma che non è pagata sulle transazione effettuate dai membri della borsa. Gli investitori inglesi, poi, evitano il pagamento della stessa prendendo posizioni sui titoli azionari tramite strumenti denominati cfd.
Aumento della volatilità e della speculazione. Rischio manipolazione
Il forte calo della liquidità dovuto all’introduzione dell’imposta, aumenterà la volatilità facendo muovere i prezzi dei titoli a strappi. E’ chiaro che è ben diversa la liquidità dei mercati se ci sono 100 venditori e 100 compratori, rispetto alla eventualità che ve ne siano invece decine di migliaia. Gli operatori stranieri che non pagano l’imposta potranno spadroneggiare sul nostro mercato mettendo a rischio pezzi del sistema economico italiano e singole aziende con importi più limitati. I fondi speculativi americani, solo per citare un esempio, potranno scambiarsi illimitati quantitativi di titoli senza essere assoggettati all’imposta.
L’andamento del mercato azionario italiano in un’economia globale, per buona parte, è correlato a quello delle altre piazza finanziarie internazionali. L’andamento dei mercati azionari, poi, segue il ciclo economico ed è solo un indicatore importante dello stato di salute dell’economia.
Se le aspettative per l’economia del nostro paese dovessero peggiorare, la discesa del mercato potrebbe diventare assai significativa senza il paracadute della liquidità. L’andamento dell’indice, verosimilmente, accentuerà i movimenti degli altri benchmark internazionali con gravi ripercussioni in fase di discesa dei listini.
L’imposta sembra poi penalizzare le operazioni di breve periodo che puntano a guadagni limitati per favorire operazioni di lungo periodo. Gli investimenti con orizzonte temporale più lungo, per essere giustificati, necessitano di guadagni consistenti.
La dimostrazione che tale imposta non va a colpire la speculazione è data proprio dall’esclusione dei titoli di Stato, che potrebbero essere nuovamente attaccati dai grandi fondi esteri. La storia recente lo ha ampiamente dimostrato.
Le transazioni in parte migreranno all’estero dove non si paga l’imposta e in parte non avranno più convenienza economica. Gli stessi tecnici del governo italiano ammettono un calo degli scambi fino all’80%. Il gettito previsto per l’Italia, la terza economia continentale, è solo di 1 miliardo di euro circa; nella migliore delle ipotesi, gli altri paesi favorevoli contribuiranno fino a 5 miliardi. Dove sono gli altri 49 promessi a livello europeo ?
I numeri indicati nel disegno di legge sulla stabilità sono eccessivamente ottimistici: sarà sufficiente un calo delle quotazioni e delle negoziazioni per metterlo in discussione.
Il governo non ha poi calcolato il mancato gettito connesso all’Irpef (più di 20 mila addetti perderanno il lavoro), all’Iva del settore legata a convegnistica, le plusvalenze da negoziazione e capital gain, il bollo sui depositi titoli e sui conti correnti.