Notizie Notizie Mondo Eolico, gli attacchi di Trump indeboliscono un settore già fragile

Eolico, gli attacchi di Trump indeboliscono un settore già fragile

10 Gennaio 2025 11:25

A meno di due settimane dall’insediamento ufficiale alla Casa Bianca, le parole di Donald Trump continuano a influenzare i mercati finanziari. Sullo sfondo, lo scontro politico (e industriale) con Biden riguardo le politiche energetiche e la sostenibilità, specialmente nel settore eolico.

Le dichiarazioni di Trump e la reazione delle borse

Quella eolica “è l’energia più costosa che ci sia. È molto, molto più costosa del gas naturale pulito, quindi cercheremo di avere una politica in cui non vengano costruite pale eoliche”. Lo ha detto il neo presidente degli Stati Uniti durante la conferenza stampa nel suo resort in Florida la sera di martedì 7 gennaio, definendo le turbine eoliche un vero e proprio “disastro”.

Un attacco frontale che non è passato inosservato agli operatori dei mercati. Tanto che la mattina del giorno dopo le azioni dei due maggiori sviluppatori di parchi eolici offshore del mondo – la danese Orsted e la tedesca Rwe – così come i produttori di turbine Siemens Energy, Nordex e Vestas sono scese fino al 7%. Un calo che persiste, con i suoi strascichi, anche a distanza di giorni. Orsted e Rwe viaggiano in calo rispettivamente del 2,3% e del 5% da inizio anno, dando seguito ai ribassi degli ultimi due mesi, dopo l’elezioni di Trump, che hanno frenato i due titoli del 27% e del 7%.

Il disimpegno ventilato dalla nuova amministrazione americana ha spinto gli investitori a vendere i titoli del settore. Eppure quello statunitense è il secondo più grande mercato eolico al mondo, subito dopo quello cinese. Stando ai dati forniti dall’Energy Information Administration, ad aprile 2024 la produzione di energia elettrica da eolico ha raggiunto i 150 gigawatt, rispetto a 2,4 gigawatt del 2000, superando anche quella degli impianti a carbone.

Tentativi di incentivare l’eolico

Ad allargare lo scontro ci sono poi le recenti posizioni prese da Trump riguardo il Mar Nero: “Il Regno Unito sta commettendo un errore molto grande”, ha scritto sul suo social Truth il 3 gennaio “Aprite il Mare del Nord. Sbarazzatevi dei mulini a vento!”. Un’invettiva diretta al governo laburista di Keir Starmer, il quale ha promesso di costruire un’economia britannica a basse emissioni di carbonio.

Un impegno che passa anche attraverso l’incremento della capacità di generazione eolica offshore entro il 2030 a 60 gigawatt. Per finanziare i progetti sull’energia rinnovabile, il governo britannico ha dichiarato che avrebbe aumentato la tassa sulle entrate straordinarie dei produttori di petrolio e gas del Mare del Nord dal 35% al 38% e avrebbe esteso l’imposta di un anno.

Decisamente troppo per le compagnie petrolifere, che una dopo l’altra stanno decidendo di lasciare l’area per concentrarsi su nuovi bacini. L’ultima è la texana Apache, che di recente ha annunciato l’intenzione di abbandonare il Mare del Nord perché le nuove imposte hanno reso “antieconomiche” le sue operazioni nel Regno Unito. “Da quasi due anni stiamo lanciando l’allarme” commenta la società, invitando il governo britannico a “collaborare rapidamente con l’industria per elaborare un nuovo regime fiscale progressivo per il Mare del Nord, in cui l’aliquota aumenta all’aumentare dei prezzi del petrolio e del gas e diminuisce quando i prezzi scendono”.

Le debolezze del settore eolico

Ciononostante, l’attenzione verso l’eolico potrebbe non ripagare abbastanza questo settore. Negli ultimi due anni, diversi sviluppatori di parchi eolici offshore hanno riconsiderato i loro investimenti a causa dell’aumento dei costi di costruzione, specialmente per i parchi situati a più di 100 km dalla costa. La stessa Orsted ha ridotto i suoi obiettivi di investimento e capacità nel 2023, annunciando la sospensione di due progetti negli Stati Uniti a causa di costi crescenti e di ritardi nei fornitori, causando una svalutazione del suo portafoglio di 4 miliardi di dollari nei primi nove mesi del 2023.

Nello stesso anno, la società svedese Vattenfall ha abbandonato alcuni investimenti nell’offshore britannico a causa dell’impennata dei costi e dei ritardi nelle forniture dei materiali. Analogamente Iberdrola, colosso spagnolo dell’energia sostenibile, ha scelto di pagare una penale di 48 milioni di dollari per annullare un accordo a lungo termine per la vendita di energia da un parco eolico pianificato al largo delle coste del Massachusetts, negli Stati Uniti.

Ecco dunque che il settore eolico si vede stretto tra incudine e martello. Da un lato i costi strutturali sempre più alti, influenzati da complessità tecniche e continui ritardi nella catena di approvvigionamento, oltre a prezzi delle materie prime e costi di finanziamento in salita. Dall’altro invece c’è il conflitto con un attore particolarmente rilevante come Trump, che incrementa ancora di più i problemi del settore, disincentivando mercati e società a investire nell’eolico.