Oltre la guerra dei biscotti: la pandemia suina e l’investimento nei titoli food

Sono ormai diverse settimane che in Italia si parla della guerra dei biscotti tra Barilla e Ferrero, dopo che quest’ultima si è lanciata sul mercato con il successo immediato dei Nutella Biscuits. Non solo biscotti visto che a inizio anno ad aprire le schermaglie era stato proprio il colosso parmense con il lancio sul mercato la Crema Spalmabile ai Pan di StellE in contrapposizione a “sua maestà Nutella”.
Il 2019 in ambito alimentare probabilmente sarà ricordato non per l’approdo sul mercato dei Nutella Biscuits, ma per gli oltre 100 milioni di suini uccisi in Cina negli ultimi 12 mesi (sui 450 milioni allevati nel paese) a causa di una violentissima e inarrestabile peste suina che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il sud est asiatico, in Africa e in Europa orientale. Un’epidemia senza precedenti e il presidente dell’Oms per la salute animale Mark Schipp sostiene che «la peste suina potrebbe colpire entro il 2021 un quarto di tutti i maiali presenti sul pianeta con ripercussioni drammatiche sulla filiera di approvvigionamento alimentare di centinaia di milioni di persone».
Ad oggi non esistono cure o vaccini e l’unica soluzione possibile è quella di abbattere tutti i capi di bestiame presenti nelle aree contagiate per cercare di contenere la diffusione del virus. Il governo cinese ha deciso di attingere alle riserve strategiche di carne suina congelata immettendone migliaia di tonnellate sul mercato, ma la disponibilità di carne di allevamento sta iniziato a scarseggiare in tutti i principali centri urbani del paese. “Il crollo della produzione interna non consente più di soddisfare la domanda e la situazione non è migliorata nemmeno dopo che il governo centrale ha tolto il divieto d’importazione di carne dall’estero”, rimarca il Monthly Report a cura di Abalone SUISSE, che sottolinea come ogni cinese consuma in media 55 kg di carne di maiale all’anno e in molte regioni le autorità hanno invitato la popolazione a sostituirla con quella di pollo il cui prezzo però nel frattempo è schizzato di oltre il 120% negli ultimi 12 mesi.
La reazione di Brasile ed Europa
La crisi suina asiatica ha spinto altri paesi a spingere al massimo la loro produzione. Il Brasile, tra i principali produttori mondiali di carne di maiale, lavora a pieno ritmo per far fronte alle richieste cinesi. Anche l’export europeo verso il paese asiatico è aumentato del 50%. Germania e Spagna, che allevano ogni anno più di 50 milioni di suini ciascuno, fanno fatica a stare dietro alla domanda cinese. L’Italia, nonostante sia il maggiore importatore europeo di carne suina per la preparazione dei prosciutti nazionali, sta esportando verso il paese asiatico ad un livello record con conseguenze drammatiche per tutta la filiera di trasformazione che non trova più la materia prima per le sue lavorazioni.
“Questa vicenda dovrebbe farci riflettere su quanto sia fragile il settore alimentare – rimarca il report di Abalone – Nonostante lo sviluppo tecnologico la produzione di cibo è ancora in gran parte legata a fattori naturali e ad eventi difficili da controllare e regolare. Spesso non ce ne rendiamo conto perché la civiltà in cui viviamo ci ha abituati a credere che la disponibilità di cibo sia scontata ed illimitata, i supermercati sono sempre pieni ed il problema dell’irregolarità nella produzione è stato risolto in parte con gli stoccaggi ed in parte con una sovraproduzione cronica che a livello planetario genera una grande quantità di scarti. All’interno di un sistema così inefficiente, delicato e competitivo i piccoli produttori sono i più esposti ai rischi perché non hanno diversificazione nella produzione e non hanno la forza logistica e finanziaria per superare le fasi di crisi. Viceversa le grandi aziende multinazionali riescono a gestire meglio l’impatto delle pandemie e degli eventi estremi su larga scala. Hanno le dimensioni per sopperire alle crisi di produzione in determinati comparti e soprattutto hanno la capacità di gestire l’elevata volatilità dei prezzi conseguente ad una domanda continua ed ineludibile che raramente si trova in equilibrio con un’offerta che invece è variabile e difficile da regolare”.
L’investimento nei titoli del settore alimentare
Abalone ritiene che la componente food & beverage rivesta un ruolo fondamentale all’interno di un portafoglio azionario. “In un’ottica di medio periodo investire su società leader nella produzione di beni alimentari è un ottimo hedging contro le incertezze geopolitiche e macroeconomiche mondiali: qualsiasi sarà l’andamento dell’economia è improbabile che nei prossimi anni la richiesta di cibo possa contrarsi drasticamente e la vicenda della peste suina ci dimostra semmai che potrebbe proprio essere l’offerta a dover affrontare le sfide più grandi. Nel mondo le pandemie sono in aumento, i cambiamenti climatici stanno sconvolgendo sistemi di produzione che sembravano essere consolidati e le abitudini alimentari della popolazione mondiale stanno cambiando rapidamente. In questo scenario saranno soltanto le multinazionali ad avere la forza tecnologica e finanziari per adattarsi ed approfittare dei cambiamenti mentre molti piccoli e medi produttori soccomberanno. A tal riguardo i titoli che preferiamo in questo momento sono Nestlè ed Unilever che presentano un ottimo posizionamento di mercato, hanno una qualità del management eccellente (ricordiamo le operazioni societarie portate a termine da Mark Schneider, CEO di Nestlè, quando era al comando di Fresenius), presentano business plan e strategie in linea con le nostre view e scambiano a multipli fair se valutati considerando la buona qualità dei loro bilanci. Sempre facenti parte del settore food & beverage siamo particolarmente confident su Danone ed Heineken (abbiamo da poco aumentato le posizioni nei portafogli dei clienti) e teniamo sotto stretta osservazione McDonald’s Corporation, Coca Cola e Campari in attesa che i prezzi tornino ad essere attrattivi”.