Guardian cita profezia William Hague su euro. E sentenzia: “Giuste proposte M5S-Lega, problema è Eurozona”
Lui è William Hague: classe 1961, è stato leader del Partito dei conservatori del Regno Unito dal 1997 al 2001, ministro degli Esteri per il governo di David Cameron dal 2010 al 2014 e, più di recente, leader della Camera dei Comuni, dal 2014 al 2015. E’ con il suo nome che inizia l’articolo del Guardian dedicato all’Italia, firmato da Larry Elliott.
Il titolo è il seguente: “Italy’s policies make sense, it’s eurozone rules that are absurd“. Tradotto: le politiche italiane hanno senso, sono le regole dell’Eurozona a essere assurde”.
Cosa c’entra William Hague, noto anche come barone Hague di Richmond, con l’Italia? C’entra, nel momento in cui, secondo il Guardian, si vuole capire cosa sta succedendo a Roma in questi giorni, magari guardando le cose da una prospettiva diversa.
Non c’è dubbio che, nelle ore in cui si attende di capire se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella darà o meno la sua benedizione a un governo M5S-Lega, l’Italia sia stata già condannata quasi a morte da una platea piuttosto nutrita di economisti ed esperti vari.
Accusata da più parti di aver imboccato un sentiero ben lontano da quella che è la retta via indicata da Bruxelles, colpita nell’orgoglio dall’FT che ha parlato dell’arrivo dei nuovi barbari, l’Italia è stata costretta a subire anche gli schiaffi del mondo della finanza che, attraverso il balzo dello spread provocato dal boom dei tassi sui BTP, ha confermato il fenomeno della profezia che si autoavvera e del panico che si autoalimenta sui mercati.
Si è arrivati anche a paventare lo scenario peggiore, ovvero la rottura dell’euro.
Ma il Guardian oggi scrive:
“William Hague una volta ha descritto l’euro come un edificio in fiamme senza vie di uscita, e l’esperienza dell’Italia degli ultimi 20 anni dimostra come l’ex leader del Partito conservatore avesse assolutamente ragione”.
Quel discorso rappresenta uno degli attacchi verbali più aggressivi sferrati contro la moneta unica. Era il 1998, la moneta unica non era entrata ancora in vigore, ma già Hague era sicuro che la sola esistenza dell’euro avrebbe scatenato la stessa “crisi bancaria e finanziaria” che aveva colpito le Tigri asiatiche.
“Non permettete a nessuno di dirvi che un caso del genere non potrebbe accadere qui – disse nel corso di una conferenza – Poche persone sono riuscite a prevedere il collasso delle Tigri asiatiche”.
In quello che venne considerato un forte attacco contro le politiche adottate sia da Margaret Thatcher che da John Major, Hague tuonò:
“Per le piccole imprese, la politica migliore è una solida politica per l’economia che eviti quelle fasi insostenibili di boom, che inevitabilmente provocano forti recessioni. Non c’è alcun dubbio sul fatto che l’ultimo governo abbia sbagliato alla fine degli anni ’80 e agli inizi dei ’90”.
Proprio “l’euro potrebbe dare il via a enormi fasi di boom e profonde recessioni (..) Se il Regno Unito aderisse alla moneta unica, a un certo punto dovrebbe far fronte a enormi aumenti delle tasse, per evitare che l’economia perda il controllo”.
Con il passare del tempo, William Hague si sarà calmato, visto che non solo Londra è rimasta ben al di fuori dell’euro ma poi, il 23 giugno del 2016, ha anche deciso di dire addio all’Unione europea con il referendum sulla Brexit.
Salvini e Di Maio hanno capito di trovarsi bloccati in un edificio in fiamme
Per Larry Elliott del Guardian, quell’allarme lanciato da Hague è quanto mai attuale.
“Tra i primi firmatari del trattato di Roma, l’Italia ha voluto partecipare disperatamente alla prima ondata di adesioni all’Unione monetaria”. ricorda il giornalista. Peccato che, “all’epoca, nessuno esaminò se un paese come l’Italia – con tendenze inflazionistiche – sarebbe riuscito davvero a fronteggiare il rigore richiesto dall’adesione all’euro”.
Piuttosto – e qui arriva il monito britannico – “quando fu chiaro che l’Italia non sarebbe riuscita a rispettare quei criteri, si decise di alleggerire le regole per fare in modo che in qualche modo ci riuscisse”.
Il risultato? “Due decenni persi, in cui il tenore di vita è rimasto stagnante, che hanno portato l’Italia ad allontanarsi dalla politica tradizionale”.
Il peggio è che, dall’ edificio in fiamme descritto da William Hague, sottolinea l’articolo, non si può uscire, e questo lo avrebbero capito sia Di Maio che Salvini.
“Sebbene nessuno dei due partiti che formano la coalizione (M5S-Lega) abbia mai amato l’euro (tutt’altro, si può aggiungere), entrambi hanno scoperto la verità nascosta nelle parole di Hague”.
Il Guardian ricorda la proposta contenuta nella vecchia bozza del contratto di governo, in cui la coalizione auspicava la messa a punto di procedure che avrebbero permesso ai paesi membri che avessero voluto lasciare l’euro, di poterlo fare.
“Ma questa proposta ora non c’è più e non è difficile immaginare il perchè – scrive Elliott – Nel caso in cui i mercati finanziari avessero creduto che davvero un governo populista (italiano) fosse determinato a uscire dall’euro, i bond governativi (BTP) sarebbero diventati più rischiosi. Gli investitori avrebbero preteso un premio più alto per detenere questi bond, e ciò avrebbe scatenato il rialzo dei tassi di interesse. La Bce avrebbe potuto dare un aiuto, acquistando i bond italiani, ma avrebbe avuto un basso incentivo ad aiutare un governo pronto a erodere – se non a distruggere – l’Unione monetaria“.
A quel punto “una crisi finanziaria avrebbe travolto il nuovo governo. Il sistema bancario italiano, già di per sé instabile, sarebbe collassato, e il paese sarebbe stato travolto da una profonda recessione. Il tasso di disoccupazione sarebbe salito e i cittadini avrebbero dato la colpa al M5S e alla Lega. I populisti sarebbero diventati impopolari“.
Il risultato è che “il nuovo governo italiano – che in realtà non è ancora un nuovo governo, visto che deve arrivare ancora il via libera del Quirinale – si trova nella stessa posizione in cui si sono trovati tutti gli altri governi italiani degli ultimi venti anni: l’adesione alla moneta unica è una maledizione, ma cercare di lasciare l’euro sarebbe anche peggio. Così come la Grecia, l’Italia sta scoprendo che è un po’ tardi dire che sarebbe stato meglio aver costruito l’impalcatura dell’euro con qualche via di fuga dall’incendio. La verità è che è più semplice per il Regno Unito – che ha una sua banca centrale e una propria moneta – lasciare l’Unione europea che non per l’Italia lasciare l’euro“.
Nonostante questo, “il nuovo governo (M5S-Lega) ha ancora intenzione di varare piani per il taglio delle tasse e per l’aumento delle spese, misure che rappresentano una sfida al modo in cui l’Eurozona è stata finora gestita. Queste spese, che includono il reddito di cittadinanza, pensioni più generose e tasse più basse, nel complesso, costerebbero 60 miliardi di euro all’anno, qualcosa come il 3,5% del Pil italiano” e farebbero schizzare il rapporto debito da poco più del 130% attuale al 150% del Pil“.
Larry Elliott tuttavia non boccia le politiche fiscali espansive del M5S-Lega. “Il problema non sono queste politiche, il vero problema risiede nelle regole fiscali dell’Eurozona, deflazionistiche in modo assurdo”.
Così come ha sottolineato Dhaval Joshi, analista di BCA Research, prosegue il Guardian, “l’Italia è in qualche modo simile al Giappone. Entrambi i paesi sono in difficoltà, in quanto le loro banche zombie non sono state capaci di erogare prestiti al settore privato. Il Giappone ha risolto questo problema permettendo al settore pubblico di erogare i prestiti, anche se ciò si è tradotto in un notevole aumento del ratio debito-Pil. L’Italia versa in una posizione peggiore, perchè la presenza delle regole fiscali dell’Eurozona significa che non può permettersi di far salire i deficit di bilancio”.
Tra l’altro, il Guardian mette in evidenza che “il debito totale dell’Italia – sia pubblico che privato – è inferiore a quello di Gran Bretagna, Francia e Spagna. E tuttavia, in base alle regole fiscali dell’Unione europea, a contare è solo il debito pubblico.
Joshi fa notare: “Di conseguenza, al governo italiano è stato impedito di ricapitalizzare il sistema bancario, e il risultato è che l’economia italiana è rimasta in fase di stagnazione per un decennio“.
Tutto questo – e il rimprovero contro il progetto euro è lampante – è accaduto e sta accadendo per il Guardian in quanto “l’euro è un progetto che non è stato mai completato“.
Certo, tale progetto potrebbe essere completato dal pacchetto di riforme proposto dal presidente francese Emmanuel Macron. Pacchetto che auspica “una Unione fiscale, così come una Unione monetaria, presiedute da un ministero delle Finanze dell’Eurozona”.
“Una alternativa allo schema di Macron è permettere ai membri dell’Eurozona di disporre di maggior libertà nel gestire le politiche fiscali che possano soddisfare le necessità proprie degli Stati, che è quanto la coalizione italiana dei populisti sta chiedendo. Al momento, le regole stabiliscono che un qualsiasi paese in difficoltà possa diventare più competitivo solo attraverso una deflazione interna, dunque attraverso il taglio dei costi e dell’austerity”.
Ma allora? Il Guardian non dà una risposta: una risposta non è neanche il motivo per cui l’articolo, che vuole piuttosto ricordare la complessità degli eventi, è stato scritto.
Non c’è dunque neanche un lieto fine.
“Si può anche decidere di consentire che la situazione arranchi così com’è e sperare per il meglio. Il problema è che “il rischio non è che un paese riesca a scappare dalle fiamme ma che alla fine l’edificio collassi con tutti quanti dentro”.