I guai di Lisbona risuonano in Spagna. Sarà la prossima per l’FT. Da domani missione troika Fmi-Bce-Ue
La giornata più lunga per Lisbona deve ancora arrivare. La resa dei conti del Portogallo non è che l’inizio. E’ stata una scelta obbligata, dopo l’enorme balzo dei rendimenti dei titoli di Stato di Lisbona dei giorni scorsi che aveva reso impossibile sostenere il rifinanziamento dei 9 miliardi di debito in scadenza entro giugno. Da domani il terreno torna ad essere scivoloso ed irto di punti interrogativi e la diplomazia scende in campo. Rappresentanti del Fondo monetario internazionale, della Bce e della Commissione europea saranno impegnati a Lisbona a negoziare il piano di aiuti per tirare fuori dal pantano il Portogallo. La discussione prenderà il via nella sede del ministero delle Finanze e coinvolgerà, con ogni probabilità, anche la Banca del Portogallo. “Dopo la decisione dell’Eurogruppo lo scorso fine settimana di accogliere la richiesta di assistenza finanziaria del Portogallo, da domani sarà a Lisbona una missione di valutazione tecnica, seguita, alla metà della prossima settimana, da un’altra per discutere delle condizioni politiche”, ha chiarito il portavoce del commissario europeo agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, precisando che per ora non ci sono negoziati. “La missione che inizierà domani servirà a fare il punto della situazione per precisare le cifre (degli aiuti) che il commissario Rehn ha avanzato venerdì scorso”, ha precisato Amadeu Altafaj.
La prossima settimana invece “saranno esaminate le condizioni politiche, ma per il momento di tratta di fare il punto sulla situazione”. La nuova stretta per il piccolo paese di Eurolandia è in realtà già cominciata. Alla riunione dell’Eurogruppo il messaggio è stato chiaro: la concessione del prestito di 80-85 miliardi di euro a Lisbona dovrà avere come contropartita un nuovo pacchetto di misure economiche più dure che incidano profondamente sulla struttura economica del paese. L’obiettivo è arduo: convincere i mercati che si fa sul serio per fermare l’effetto domino. Nella due giorni che ha visto impegnati i ministri di Eurolandia è stato espulso dal vocabolario politico il termine sostenibilità dei programmi di aggiustamento di bilancio. Tre sono le condizioni poste dall’Eurogruppo perchè Lisbona possa beneficiare dei prestiti: un ambizioso piano di aggiustamento dei conti pubblici per tornare a una situazione di sostenibilità; riforme strutturali per rilanciare la crescita e la competitività, a partire da un deciso programma di privatizzazioni; un intervento sulle banche per garantire un’adeguata liquidità e la solvibilità dell’intero settore finanziario, la cui situazione – da un’iniziale e relativa solidità – è molto peggiorata negli ultimi tempi.
Nell’emergenza portoghese la preoccupazione principale è quella di rassicurare definitivamente le Borse e le aborrite agenzie di rating che non ci saranno a breve altri paesi da salvare, che la Spagna si è già quasi salvata da sola e che non ricorrerà mai all’aiuto finanziario esterno. Ancora una volta il percorso degli interventi anti-crisi è però lastricato dalle inevitabili peripezie della politica. La Germania è preoccupata, ma lo era di più quando Lisbona continuava a nascondere l’evidenza della necessità di un aiuto esterno, il terzo della sua storia. Da giovedì scorso quando da Lisbona è arrivata la richiesta di aiuti ci si chiede come reagirà la popolazione portoghese a una nuova stretta dopo le misure di rialzo dell’Iva sui generi di prima necessità, il taglio delle pensioni, della spesa sanitaria e sociale. Il 6 maggio è previsto uno sciopero dei dipendenti pubblici. Ma il problema emergerà molto presto. Se le richieste di aiuti per il Portogallo rimarranno entro il ventaglio di possibilità atteso, la Spagna dovrebbe apportare al fondo dai 4 ai 6 miliardi di euro e l’Italia dovrebbe contribuire per 9,6 miliardi. Queste sono le stime di alcuni quotidiani spagnoli.
Per Cinco Dias, infatti, un terzo del prestito al Portogallo lo apporterà il Fondo Monetario Internazionale e il resto il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf) e la Commissione Europea. Alla Spagna toccherebbe garantire una copertura di circa 3,6 miliardi. Per El Economista la stima sale a circa 6 miliardi di euro, che corrisponderebbero al 12% del totale che deve fornire l’Unione e che farebbe del paese iberico il quarto per contribuzione al salvataggio, dopo la Germania (14,5 miliardi), Francia (11 miliardi) e Italia (9,6 miliardi). El Economista ricorda che, a differenza degli aiuti concessi alla Grecia, che furono prestiti diretti e si trasformarono subito in debito, quelli che si potrebbero fornire al Portogallo attraverso il Fesf non peserebbero subito sui bilanci statali perchè sono una garanzia di copertura. Solo se il Portogallo non restituisse alla scadenza il prestito ricevuto dal fondo, gli stati dovrebbero fare fronte alla garanzia data con denaro contante, che graverebbe allora sul deficit pubblico. Ma se il Portogallo vacillasse, le preoccupazioni maggiori riguardano il suo vicino: la Spagna. Come ha riconosciuto anche il presidente francese Nicolas Sarkozy la penisola iberica è “la linea rossa dell’euro, che non può essere oltrepassata”. Citando fonti vicine alle conversazioni, oggi il quotidiano di Madrid, El Mundo, scrive che il presidente francese ha detto al premier spagnolo Josè Luis Zapatero che “Francia e Germania si adopererannno per evitare che la tensione dei mercati colpisca anche la Spagna”. Finora la penisola iberica ha evitato ogni contagio dalla crisi che ha colpito negli ultimi giorni il Portogallo, costringendo Lisbona a chiedere un aiuto finanziario a Ue e Fmi, ma nessuno ad oggi può dormire sonni tranquilli.
“Mentre il Portogallo è KO, la Spagna è OK”, scriveva giovedì scorso il Financial Times, poche ore dopo che il governo lusitano in funzione annunciasse la richiesta di salvataggio inviata al Fmi e ai soci europei. Oggi, lo stesso quotidiano britannico, in un’analisi di una delle sue firme più prestigiose, assicura che l’economia spagnola sarà la prossima dell’eurozona a cadere e che il prezzo delle case diminuirà del 40%, con grossi ripercussioni sui crediti della casse di risparmio. La Spagna non è il Portogallo è da settimane la consegna più ripetuta, a tutti i livelli. “La nostra economia è molto più grande, molto più diversificata e con un curriculum molto migliore di quello portoghese”, hanno ribadito economisti, analisti e politici, con in testa la vicepremier per l’economia, Elena Salgado. Proprio oggi il Fmi ha aumentato le previsioni di crescita per la Spagna per quest’anno portandole all’0,8% del Pil, la metà della media dell’eurozona, e all’1,6% per il 2012,un decimo in più rispetto alle previsioni di gennaio. “Il nostro problema è la crescita, ed è la nostra sfida: che l’economia recuperi il suo potenziale”, ha ammesso Rodriguo Rato, ex direttore del Fmi e attuale presidente di Bankia, ribadendo che la Spagna attualmente non è a rischio di intervento da parte della Unione Europea. Un pericolo che, secondo Rato, è esistito nell’autunno del 2010, ma non ora che la crisi è alle spalle.
Dati alla mano, le differenze col Portogallo sono nei numeri. Il Pil della Spagna, che supera il miliardo di euro – è esattamente 1.062.591 milioni – moltiplica per più di sei quello lusitano – che ammonta a 162.123 milioni – ed è quasi il doppio di quelli di Grecia, Irlanda e Portogallo tutti insieme, i paesi finora riscattati. Ed è il quarto più grande dell’eurozona, dopo quelli di Germania, Francia e Italia; il quinto di tutta la Ue, maggiore anche di quello del Regno Unito. Equivale all’11,76% del Pil totale dell’eurozona, mentre quello del Portogallo rappresenta solo l’1,87%. “Un’economia troppo grande per lasciarla cadere e troppo cara per essere salvata, soprattutto dopo aver destinato 300.000 milioni di euro ai paesi già abbattuti”, assicurano all’Istituto di impresa Business School di Barcellona. Eppure con un’esposizione globale di Madrid verso Lisbona che si