Gen Z non ama il settore Oil&gas, ecco su chi puntare per invertire la rotta (analisti)
Si preannunciano tempi duri per il settore oil&gas. Secondo un’indagine realizzata da Barclays in collaborazione con YouGov, solo il 19% dei giovani di età compresa tra i 18-24 anni, la cosiddetta Gen Z, probabilmente acquisterà quote in questo settore, il livello più basso mai registrato in qualsiasi fascia di età.
Un dato che, dice la ricerca di Barclays, mette in evidenza il problema che si trova oggi ad affrontare il Big Oil, ossia che gli investitori si dimostrano sempre più scettici in merito al valore a lungo termine dei beni petroliferi e del gas. Ma è anche un dato da cui poter ripartire, suggerisce la ricerca, visto che proprio il gruppo dei 18-24enni è quello maggiormente disposto a cambiare la loro mentalità. Coinvolgere questo gruppo, la Generazione Z, può essere difatti la chiave per fermare e invertire potenzialmente il declassamento del settore energetico che si è verificato negli ultimi dieci anni.
I tre fattori che possono spingere la generazione Z a investire nell’oil&gas
Secondo il sondaggio di YouGov condotto su circa 7000 persone, oltre la metà (55%) degli intervistati ha un’opinione negativa dell’industria del petrolio e del gas, rispetto ad un solo 28% che invece ha una visione positiva. Percentuali queste che si riflettono sulla probabilità di investire nel settore energetico, con oltre la metà degli intervistati che difficilmente dichiara di voler investire in azioni delle società petrolifere e del gas. Il risultato più forte è quello che concerne, come detto, la fascia d’eta tra i 18 e i 24 anni: solo il 19% di questi investirebbe probabilmente nel settore del petrolio e del gas. Date le implicazioni per l’andamento degli investimenti a lungo termine, si tratta di una questione che, a nostro avviso scrivono gli analisti di Barclays, il settore deve affrontare ora. Sono tre però i fattori che la generazione Z ha indicato come capaci di renderli più propensi a investire nel settore oil&gas: l’aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili, la riduzione dell’impatto ambientale, e un buon ritorno sugli investimenti, vale a dire dividendi e riacquisti di azioni proprie.
La chiave di lettura della nostra analisi – concludono gli esperti – è che la competitività nel prossimo decennio sarà determinata probabilmente da una combinazione delle strategie ambientali delle aziende, ma anche dalla necessità di adottare un approccio coerente alla disciplina e ai rendimenti. Di per sé, gli investimenti in energie rinnovabili e a basse emissioni di carbonio non dovrebbero essere automaticamente considerati un bene per gli azionisti, ma è più probabile che da questi le imprese possano creare valore. Le aziende che si distinguono nel settore energetico – conclude Barclays – continueranno ad essere BP, Shell, Total e OMV. Dal punto di vista delle energie rinnovabili, i due nomi in testa sono Equinor e Neste.