Energia, crisi gas rischio a lungo termine: la sfida del clima aumenta l’incertezza
Le accuse per l’aumento del prezzo del gas naturale sono state rivolte contro molteplici player e fattori esterni: il tempo atmosferico, la pandemia, la produzione in generale, il rallentamento delle trivellazioni, l’Opec, gli scenari geopolitici e molti altri ancora; tuttavia, secondo alcuni esperti la vera responsabilità per questa crisi incombente è da ricercare in anni di investimenti insufficienti, che hanno portato a un’offerta di commodity per la produzione di energia di lungo periodo a livello globale scarsamente diversificata. La conseguenza è che gli effetti negativi dell’inflazione crescente e dalla contrazione dei redditi reali sono avvertiti principalmente da Europa e Asia, con i ceti più poveri generalmente più colpiti. A rivelarlo è un’analisi di LGIM.
Oggi, il quesito a cui serve dare una risposta immediata è come conciliare la necessità di aumentare gli investimenti con gli obiettivi climatici sottoscritti. L’incertezza che si è diffusa porterà gli investimenti interni a restare su livelli bassi, soprattutto in Europa, e questo farà aumentare le possibilità di carenze di gas prolungate nel tempo. Negli Stati Uniti, questo dovrebbe tradursi in un supporto ai costi dell’energia da parte del governo, dato che si sta andando verso una generale omologazione dei mercati energetici.
La spinta verso una parità dei prezzi in questi mercati sta iniziando ad essere maggiormente percepita: se si moltiplicasse il prezzo unitario del gas per sei, si otterrebbe il prezzo di un barile di greggio; e considerando che il prezzo del gas negli States è di 4 dollari, si otterrebbe che il petrolio costa 24 dollari. Poiché questa risorsa oggi costa molto di più, è facile intuire che in questo mercato il gas ha un costo molto basso. Asia ed Europa pagano un prezzo che è nettamente superiore ai 150 dollari al barile del petrolio, il quale in un mese è arrivato a costare anche 250 dollari nel mercato a termine e 300 dollari nel mercato a pronti. Questa impennata è stata avvertita principalmente dall’industria, ma ora inizia ad avere ripercussioni anche sui consumatori.
Purtroppo, buona parte della colpa della crisi del gas in Europa è nostra, che non abbiamo fatto investimenti adeguati e per molto tempo abbiamo demonizzato la produzione propria, facendo anche molto poco per soddisfare la domanda interna. Tutto questo ha solamente accresciuto la dipendenza dalle forniture estere; dipendenza che riteniamo continuerà a peggiorare, almeno fino al 2030. Quello che stiamo vivendo è uno degli shock dei prezzi più impattanti che si siano mai verificati e, purtroppo, il quadro dice che la situazione non migliorerà in tempi brevi e che l’Europa si troverà ad affrontare lunghi periodi di carenza di questa commodity. Lo stesso scenario dovrebbe replicarsi in modo molto simile anche in Asia.
Il risultato è che i mercati europei e asiatici sono entrati in competizione per accaparrarsi le riserve e questo porterà a una maggiore connessione tra i prezzi e che la sfida si concentrerà sul mercato spot del gas naturale liquefatto (LNG). Per quanto riguarda il mercato statunitense, il motivo per cui il trading si mantiene su prezzi tanto scontati è perché non c’è una sufficiente capacità di liquefazione per raggiungere tutti i comparti economici e collegarli tra loro. Tuttavia, nel lungo periodo, anche gli Stati Uniti dovrebbero riuscire a migliorare questo ultimo aspetto e a ridurre il gap tra i prezzi del mercato locale del gas e quelli degli altri paesi; processo che si era interrotto nei primi anni 2000 con la rivoluzione dello scisto.
Gli studi di LGIM suggeriscono che il gas naturale è una risorsa in linea con l’obiettivo di tenere l’innalzamento delle temperature sotto i 2°, ma non è una via percorribile per stare sotto gli 1,5° e se gli obiettivi globali saranno sempre più propensi alle zero emissioni nette, allora il mondo dovrà imparare a farne a meno. Per raggiungere l’obiettivo degli 1,5° il margine di energia prodotto tramite gas deve essere estremamente ridotto. I policymaker continueranno comunque a spingere per politiche di zero emissioni nette, che rendono estremamente improbabile un’ulteriore espansione della domanda di gas. Al contrario, dovrebbe ridursi a partire dal 2030. Tuttavia, oggi domanda e offerta semplicemente non coincidono e questo crea incertezza.