Fuga dal rischio, scandali Trump e timori impeachment affossano borse e dollaro: euro oltre $1,11
Azionario globale nelle grinfie dell’avversione al rischio degli investitori. I vari scandali che stanno travolgendo Donald Trump in queste ore hanno effetti su tutti i mercati finanziari.
Premiato l’oro, bene rifugio per eccellenza, che sale per la quinta sessione consecutiva, beneficiando della flessione del dollaro, vittima illustre dei guai della Casa Bianca. Il contratto sull’oro con scadenza immediata è salito nelle ultime ore fino a $1,245,07 all’oncia, al record dallo scorso 3 marzo. Naeem Aslam, responsabile analista di mercato a Londra presso Think Markets, fa notare in un’intervista rilasciata a Bloomberg che gli investitori sono sempre più tramortiti dal rischio di un impeachment contro il presidente Usa, uno scenario che “certamente affosserebbe in modo significativo la fiducia”.
L’oro riporta la fase rialzista più duratura dell’ultimo mese, con i guadagni dall’inizio dell’anno che si rafforzano a +8,4%.
Barnabas Gan, economista presso Oversea-Chinese Banking Corp, commenta a tal proposito che “il rialzo dell’oro dipende largamente dal dollaro, che sta perdendo terreno a causa di Trump”.
Gan prosegue, affermando che “nel lungo termine ci sono ancora ulteriori rischi al ribasso per il dollaro, ma nel breve termine, se si considerano i guai di Trump e anche le minacce della Corea del Nord, il dollaro rimane debole” a beneficio del metallo prezioso (che a suo avviso, in ogni caso, sulla scia delle nuove strette monetarie della Fed, tornerà in area $1.100).
La tensione sui mercati è alta: male i mercati azionari asiatici, con il Nikkei della borsa di Tokyo che ha perso più di mezzo punto percentuale; ancora peggio la borsa di Sidney, che ha ceduto oltre -1%. La corsa agli asset rifugio premia lo yen, – con il rapporto usd-jpy in ribasso a JPY 112,45; mentre l’euro sale beneficiando anch’esso dei sell off sul dollaro e balza fin oltre la soglia di $1,11, a $1,1122, al massimo dallo scorso 9 novembre, Day After delle elezioni Usa.
Gli smobilizzi sul dollaro portano lo yen al record in due settimane e il franco svizzero al valore più alto delle ultime sette settimane nei confronti della valuta Usa. Il Dollar Index, che lo scorso 3 gennaio aveva testato il massimo in 14 anni a quota 103,82, ora viaggia ai minimi dallo scorso 9 novembre, a 98,118.
I trader si posizionano anche sui Treasuries, considerati anch’essi asset rifugio, con i rendimenti a 10 anni che scendono al 2,28%, mentre Wall Street è assediata già ora dalle vendite, con i futures sul Dow Jones che perdono più di 100 punti. Giù anche l’azionario europeo, con il Ftse Mib che arretra di oltre mezzo punto percentuale, in area 21.650 punti.
Non passa giorno, ormai, senza nuove rivelazioni scottanti sull’operato del tycoon newyorchese, che dal giorno dell’Election Day aveva messo il turbo a Wall Street e alle borse di tutto il mondo.
La bolla Trump sta per scoppiare? Presto per dirlo, se si considerano i nuovi livelli record testati da Wall Street e da altri listini nel mondo intero. Ma da ieri il nome Trump è sempre più associato al Russia-gate.
Negli ultimi giorni è successo di tutto: prima, la decisione dello stesso presidente di licenziare il direttore dell’Fbi, James Comey, con una mossa che ha rievocato lo spettro del Massacro del Sabato sera e, sostanzialmente, del Watergate, alimentando i timori di una crisi costituzionale negli Usa.
Poi, l’articolo rivelazione del Washington Post, secondo cui Trump – già nel mirino insieme al suo staff per le relazioni poco trasparenti con la Russia probabilmente fin dai tempi concitati della campagna presidenziale- avrebbe rivelato al ministro degli esteri e ambasciatore russi informazioni di intelligence strettamente riservate, concernenti anche l’Isis.
E ora, il memo scritto dallo stesso Comey cacciato dall’Fbi, secondo cui il presidente gli avrebbe chiesto di lasciar cadere l’indagine sull’ex consigliere Michael Flynn, anch’egli finito nel buco nero dei funzionari cacciati da un giorno all’altro da Trump. Stando a quanto rivela il New York Times – che ha ottenuto il memo – l’allora numero uno dell’Fbi annotò un suo commento dopo un incontro con il presidente, avvenuto lo scorso 14 febbraio, il giorno successivo alle dimissioni di Flynn.
“Il presidente mi ha chiesto di lasciar cadere le indagini su Michael Flynn (e sui suoi rapporti con Mosca)- scrisse Comey – dicendomi ‘lo lasci andare, è una brava persona’”.
Esplode così una nuova bomba sulla testa di Trump, e l’azionario non la prende affatto bene. Intervistato da Reuters, Erwin Chereminsky, professore di diritto costituzionale e presidente della Irvine School of Law della University of California, sottolinea che, “se un presidente dice all’Fbi di porre fine a un’indagine dal risvolto potenzialmente penale, allora è responsabile di ostruzione della giustizia, la stessa cosa che portò il presidente Nixon a rassegnare le dimissioni”.
Oltre che al Russia-gate, il nome Trump è in queste ore sempre più associato alla parola impeachment.
Lui minimizza, afferma che è un suo diritto condividere informazioni di intelligence con le controparti globali, ma il memo di Comey rischia davvero di metterlo KO. A questo punto, secondo diversi esperti, il suo futuro potrebbe dipendere da quanto verrà fuori dalla sottocommissione Giustizia al Senato sulla Russia, che sta per chiamare a testimoniare diverse fonti. Fonti che potrebbero far luce su quei rapporti di carattere personale, finanziario e politico con Mosca che, fin dall’inizio, il presidente ha tentato di insabbiare, peggiorando solo la situazione.
Già il senatore Angus King, membro della Commissione di Intelligence, ha ammesso di credere che Trump si stia avvicinando sempre di più all’area di impeachment.
“Sebbene con riluttanza, devo dire sì – ha risposto King al cronista della Cnn, Wolf Blitzer, che gli ha chiesto se il presidente degli Stati Uniti “non si stia avvicinando sempre di più” al rischio “di un processo di impeachment”. “L’ostruzione della giustizia è un reato molto grave” e ” se davvero il presidente Trump ha tentato di dire al direttore dell’Fbi, che lavorava per lui, di lasciar cadere una indagine – che fosse su Michael Flynn o anche su niente che avesse a che fare con la Russia, sulla politica o sulle elezioni – allora la situazione è molto grave”.