Fidelity, Presidenziali Usa: i governi democratici danno più slancio alle Borse. Ma la Fed può fare molto di più
Nel Super Tuesday delle primarie americane (il giorno che rappresenta una sorta di test sulla capacità dei candidati di competere a livello nazionale e non solo in un singolo Stato) Fidelity International si è interrogata su quali saranno gli effetti dell’esito delle elezioni presidenziali di novembre sui mercati azionari Usa.
I precedenti storici
Guardando alla storia delle elezioni passate, secondo Fidelity, si possono infatti osservare alcuni trend interessanti. È opinione diffusa che i presidenti repubblicani sappiano creare un contesto economico più favorevole in virtù del loro approccio più liberale in campo economico e commerciale. Questo lascerebbe pensare a un concomitante aumento delle quotazioni azionarie in Borsa. L’ipotesi, tuttavia sembra non reggere all’analisi storica, almeno per quanto riguarda i prezzi delle azioni. Da un’analisi condotta sull’andamento delle quotazioni nelle Borse azionarie USA (secondo i dati dell’indice S&P500) tra il 1928 e oggi i periodi storici che hanno visto un Presidente repubblicano alla Casa Bianca hanno registrato una performance peggiore in termini di prezzi e in ben quattro amministrazioni repubblicane le quotazioni hanno chiuso in perdita. Per contro, sotto la guida di presidenti democratici è stato registrato un solo quadriennio negativo. I mercati azionari sono infatti cresciuti con una media annuale del 10% durante i governi democratici, contro l’1,8% sotto quelli repubblicani. Il trend risulta evidente anche nel periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale ai giorni nostri. Le quotazioni azionarie sono salite dell’11,4% sotto i presidenti democratici, mentre la percentuale si ferma al 4,8% per quelli repubblicani.
Il prossimo mandato
Ma i rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. “Nonostante le Borse americane abbiano registrato performance decisamente migliori durante i mandati dei presidenti democratici – commenta Angel Agudo, gestore di FF America Fund – i risultati ottenuti devono sempre essere contestualizzati in rapporto alle difficoltà economiche e politiche con cui i presidenti in carica hanno dovuto scontrarsi”. Non esisterebbe quindi. soprattutto in una prospettiva di medio e lungo termine, una correlazione stretta tra l’appartenenza politica del Presidente e la performance delle quotazioni azionarie. E le decisioni di investimento non devono quindi essere influenzate dall’esito delle elezioni politiche.
Il fattore Fed
Inoltre le presidenziali si terranno solo a novembre e in questo momento gli occhi degli investitori sono puntati soprattutto sulla riunione della Federal Reserve, in programma per il 16 marzo. “Dopo un inizio di anno caratterizzato da forte volatilità, c’è grande attesa riguardo alla possibile evoluzione del ciclo di inasprimento monetario – dice Nick Peters, gestore di FF Global Multi Asset Tactical Moderate Fund – Personalmente non ritengo probabile un ulteriore aumento dei tassi già nella riunione di marzo, ma i mercati sembrano sottostimare l’effettiva probabilità di ulteriori rialzi“. “La crescita resta infatti positiva, ancorché modesta, mentre i salari probabilmente registreranno un’accelerazione nei prossimi mesi, in concomitanza con un aumento dell’inflazione. Potrebbero quindi esserci le condizioni perché la Fed vari nuovi rialzi dei tassi nel corso del 2016”, conclude Peters.