Notizie Notizie Italia E’ Ferrero la carta per tenere Parmalat in Italia. Il mercato ci crede. Titolo in rialzo

E’ Ferrero la carta per tenere Parmalat in Italia. Il mercato ci crede. Titolo in rialzo

25 Marzo 2011 12:04

Sul gioiellino del latte italiano è Ferrero l’unica carta da giocare, per tenerlo in Italia. Lo sa bene il governo, che ha preso tempo con il decreto che consente di spostare l’assemblea di Collecchio già fissata per il 14 aprile. Lo sa bene anche Intesa Sanpaolo, che lavora senza sosta all’operazione. E sembra prenderne atto anche la stampa francese, che ipotizza un’alleanza con Lactalis. Nessuno però azzarda un finale. Lo fa la Borsa, che sull’onda di una soluzione tricolore sta regalando a Parmalat un’altra seduta in denaro (+1,94% a 2,41 euro). Il numero uno di Intesa SanPaolo, Corrado Passera, spinge in favore di un progetto industriale per Parmalat targato Ferrero in vista di un possibile slittamento dell’assemblea degli azionisti. Mentre da Oltralpe inizia a prendere piede l’ipotesi di un’alleanza italo-francese nell’azionariato del gruppo di Collecchio con Lactalis che potrebbe essere disponibile a creare una holding di controllo insieme alla famiglia di Alba.


Le colonne del quotidiano finanziario Les Echos hanno riportato, senza incassare alcuna smentita, che mercoledì scorso Giovanni Ferrero, figlio del numero uno del colosso dolciario piemontese, ed Emmanuel Besnier, patron del gruppo transalpino e da qualche giorno azionista col 29% di Parmalat, si sarebbero incontrati a Parigi per discutere di questo progetto. In campo ci sono Intesa SanPaolo e Bnl (gruppo Bnp Paribas) pronte a dare sostegno finanziario ai Ferrero, qualora decidessero di rompere gli indugi sul dossier Parmalat. Il gruppo d’Alba, assistito come sempre da Mediobanca, che ha già lavorato come advisor per il caso Cadbury, non ha commentatp le indiscrezioni sui contatti in corso e si è limitato a dire che resta interessato se matureranno le condizioni che rendano possibile” il nascere di un piano.


La soluzione italiana passerebbe attraverso una newco con Ferrero in maggioranza (60-70%) e Intesa Sanpaolo in minoranza (30-40%) secondo la ricostruzione fatta dal Messaggero. Il giornale della Capitale segnala inoltre che “in queste ore i legali stanno definendo il term sheet per costituire il veicolo che dovrà difendere l’italianità di Parmalat, come vuole il Governo, che ha varato il decreto per consentire il rinvio a giugno dell’assemblea di Collecchio”. In sostanza si tratta di un piano, prosegue il giornale, che ricalca il format di Cai e Telco, con Intesa che interviene direttamente nell’equity oltre che nel finanziamento. La posizione dei Ferrero condiziona però il piano di Intesa, che ha tre opzioni sul tavolo: coinvolgere Lactalis nella newco purchè la maggioranza tra Alba, Intesa e gli altri partner finanziari italiani (potrebbero anche esserci Equinox e Palladio) sia italiana, acquistare il 29,9% in Borsa e regolare i conti con il gruppo francese in assemblea oppure lanciare un’Opa preventiva parziale sul 60% di Collecchio. Una strada però che finora in Italia non è stata mai seguita perchè il codice civile impone il via libera dell’assemblea e nessuno degli offerenti deve aver acquistato più dell’1% nei 12 mesi precedenti.


Il giornale aggiunge anche che Enrico Bondi, però, non ha ancora convocato il cda per spostare l’assise in calendario il 14 aprile. Solo lunedì il manager dovrebbe prendere una decisione. “La prima soluzione appare, dal punto di vista di Intesa e Ferrero, come la meno rischiosa e meno dispendiosa, quindi anche la più probabile”, commentano gli analisti di Equita, confermando il giudizio hold sul titolo Parmalat con target a 2,25 euro. “Lactalis potrebbe accettarla per evitare di incorrere in un rischio politico in futuro: il management ha detto infatti di essere aperto a condividere il progetto Parmalat anche con altri azionisti. Questa soluzione – sottolineano alla sim milanese – non richiederebbe nessuna Opa, ma aprirebbe la strada a una gestione di Parmalat più fair, con maggiore visibilità sull’allocazione delle sinergie in diversi ambiti: nella logistica, nella materia prima, nel commerciale.


Ma al di là di come si chiuderanno i giochi attorno al gioiellino italiano, una cosa è chiara: in Europa è tornata la spinta a resistere all’avanzata di gruppi stranieri che cercano di prendere il controllo dei gruppi nazionali più importanti come dimostra la corsa del governo italiano che cerca di rendere più difficile agli stranieri acquistare le compagnie considerate strategiche. Lo scrive sul Financial Times il commentatore Paul Betts, sottolineando che “anche se la Francia è sempre stato considerato il paese protezionista per eccellenza, questi istinti sono sempre stati presenti in tutta europa”. Eppure, aggiunge, “molti dei gruppi acquistati dai francesi erano già in vendita o erano d’accordo nell’essere conquistati” come nel caso certamente di Bulgari e della Banca Nazionale del Lavoro: laddove, comunque, “l’Italia è di gran lunga il paese meno aperto alle offerte straniere”.

 

“In difesa diParmalat – ammette il quotidiano – l’approccio di Lactalis è stato ostile e la compagnia francese non si è dimostrata favorevole agli azionisti di minoranza, acquistando una quota del 29 per cento che le permette di assumere il controllo effettivo di Parmalat senza dover lanciare un’Opa”. L’interrogativo di fondo, osserva Betts, è “come mai un paese come l’Italia, con il suo talento nel lusso e nei prodotti di qualità, non ha un gruppo globale come Lvmh e Ppr in francia, o Richemont in Svizzera?. Forse, conclude il commento di Ft, l’industra italia ha bisogno di una visione più che di patriottismo”. Parole pungenti che dovrebbero fare riflettere, magari anche a Collecchio.