“Fakebook” tocca i minimi storici, Zuckerberg perde 423 milioni di dollari
Osama Bin Laden, Giuseppe Garibaldi, il nostro cane o il nostro pesce rosso, un amico scomparso da tempo ma il cui profilo è ancora sul web a testimoniare che c’è stato. Sono esempi del popolo di “Fakebook”: persone non (più) esistenti che nondimeno possiedono un account sul più grande social network del mondo. Secondo le cifre presentate dalla stessa Facebook, i profili “falsi” sarebbero oltre 83 milioni, il 9% circa del totale. In altre parole, nel 9% dei casi i pubblicitari rischiano di sciorinare a vuoto la propria merce.
Un fenomeno che allunga la lista dei motivi per cui scappare dal titolo Facebook, che ieri è stato venduto tanto da toccare il minimo storico dall’Ipo, 19,82 dollari, per poi chiudere a quota 20,04 in calo del 4%. Vale a dire quasi la metà del valore di quotazione.
Mark Zuckerberg perde così il posto tra i 10 uomini più ricchi tra i magnati della tecnologia: secondo i calcoli di Bloomberg, il patrimonio personale del ventottenne comprende 150 milioni di dollari in asset vari e 503,6 milioni di azioni Facebook, il cui valore è calato ieri di 423 milioni di dollari scendendo a “soli” 10,2 miliardi. Ora Mr. Facebook si trova all’undicesimo posto dietro James Goodnight, fondatore del gruppo del software SAS, che lo distanzia di 400 milioni di dollari.
Ben altra posizione nella classifica, probabilmente, occupano i dipendenti di Facebook, che si sbarazzerebbero volentieri dei propri 20 miliardi di dollari in azioni del social network se non fossero vincolati a tenerne gran parte in portafoglio fino a novembre. Al momento le loro aspettative di rendita sul titolo si sono ridotte di ben 10 miliardi di dollari: ce n’è abbastanza da rendere il clima piuttosto teso.
In effetti, chi può sta già abbandonando la nave: in pochi mesi sono tre i “top executives” che hanno salutato Zuckerberg e i suoi fallimenti borsistici per iniziare un business diverso. E’ il caso di Katie Mitic e Ethan Beard, che dopo aver ringraziato per la bellissima esperienza si avviano a lavorare l’una per una startup nel mobile, l’altro ad una propria società in costruzione. In giugno era stato il turno del chief technology officer Bret Taylor.
E non è finita qui: ironia della sorte, perfino la sorella di Zuckerberg ha finito per tradire il suo sangue lavorando per la concorrenza. Impiegata da Wildfire, infatti, Arielle Zuckerberg è stata ora acquisita nientemeno che da Google.