Egemonia Wall Street al capolinea? Occhio allo ‘spettro’ Elisabeth Warren nel 2020
E’ da un bel po’ di anni che Wall Street è degna, parafrasando Donald Trump, dell’appellattivo di America First. E’ quanto scrive John Authers, senior editor della divisione mercati di Bloomberg, in un articolo dal titolo “America Second. Could It Happen?”, ovvero: “America seconda. Potrebbe accadere?”. In questo caso si parla di America First facendo riferimento alla Borsa Usa, e non dello slogan più generico che Donald Trump sbandiera dai tempi della campagna elettorale che lo ha portato a uscire vittorioso nell’Election Day del 2016. Uno slogan poi realizzato con una politica commerciale aggressiva, che ha fatto fare alla globalizzazione più di un passo indietro, a favore della logica improntata al protezionismo.
Quando scrive di America First, Authers si riferisce al fatto che Wall Street ha fatto davvero diventare l’America la numero uno del pianeta, grazie ai corposi guadagni incassati da quando la crisi finanziaria del 2008 ha toccato il fondo: anche se “quella superiorità (rispetto alle altre borse) è iniziata, – fa notare Authers – e questo è alquanto bizzarro, solo a seguito della decisione di Standard & Poor’s di strappare aegli Stati Uniti il rating tripla AAA.
Era l’estate del 2011. Una notizia shock che, tuttavia, può essere fatta coincidere con gli albori del boom dell’azionario Usa.
Tra l’altro, “l’ascesa continua dell’economia numero uno al mondo, che vanta il settore tecnologico più vibrante, è senza precedenti – si legge nell’articolo – ed è riflesso nell’indice “MSCI US index“, il cui grafico mostra come la borsa Usa abbia performato meglio del resto del mondo.
Ci sono stati due periodi in cui l’andamento di Wall Street è stato migliore rispetto al resto del mondo, e in modo prolungato: entrambi sono stati seguiti da un dietrofront anche se, durante la metà degli anni ’90, la sovraperformance del resto del mondo rispetto agli Usa non è durata molto, in quanto precedente al boom dell’hi-tech Usa della fine del decennio.
In generale, Authers non è proprio convinto del fatto che Wall Street in stile America First sia destinata a finire e rileva come il dominio dell’azionario americano si basa “sulla crescita più stabile e superiore degli Eps (earning per share, utili per azione). Ciò avviene grazie all’innovazione migliore (rispetto agli altri paesi del mondo) e alla maggiore volontà degli States di plasmare la finanza in modo che sia market-friendly)”.
Questo non significa però che “dovremmo dare per scontata la superiorità degli Stati Uniti, anche in termini di prodotto interno lordo.
“Il grafico seguente di Justin Thomson, responsabile investimenti della divisione dell’azionario di T. Rowe Price, mostra il modo in cui l’incidenza (dei Pil dei singoli paesi) sul Pil globale sia cambiata nel corso del millennio. Cina e India stanno crescendo, e ci sono tutti i motivi per credere che continueranno a fare meglio degli Stati Uniti. E alla fine questa caratteristica “dovrebbe riflettersi in una performance migliore del mercato azionario”.
Guardando invece alle valutazioni dei titoli e prendendo come riferimento “il ratio tra i prezzi e gli utili medi dei dieci anni precedenti, dunque utilizzando multipli sugli utili adjusted su base ciclica, emerge come, alla fine, Wall Street non sia stata alla fine così tanto più costosa rispetto al resto del mondo.
L’analista di T. Rowe Price mostra però anche che la sovraperformance della borsa Usa nel corso dell’ultimo decennio è stata scatenata da un allargamento continuo del gap di valutazione“.
Questo gap, si legge, in realtà è avallato dalla “redditività delle società americane, molto più alta, se si considera il ROE”.
L’articolo fa riferimento anche alla solidità delle società che fanno parte del cosiddetto FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google). Arma a doppio taglio per la fase America First di Wall Street, visto che le autorità Antitrust Usa potrebbero minacciare i suddetti colossi, reputati fin troppo grandi e con troppo potere.
Detto questo, l’esperto segnala che non sarebbe saggio ritenere che le società Usa possano continuare a espandere il loro capitale così velocemente e ogni anno.
E’ vero però che le argomentazioni a favore di Wall Street vanno avanti da anni: di conseguenza, si chiede Authers, perché mai il 2020 dovrebbe siglare la fine di Wall Street in salsa America First?
L’esperto di Bloomberg spiega che Anatole Kaletsky, “ex collega che ora dirige Gavekal Economics, ritiene che ci siano i presupposti affinché l’azionario globale faccia meglio di Wall Street, come d’altronde aveva già previsto- tra l’altro ‘sbagliando’ – in passato.
Per iniziare, (secondo Kaletsky) c’è il dollaro, che è sopravvalutato. Dunque “nel caso in cui la volatilità estremamente bassa che permane nel mercato del forex dovesse far pensare a un round di debolezza del dollaro, cosa che sembra possibile, questo potrebbe essere un fattore che permetterebbe al resto del mondo di fare meglio degli asset americani, per un po’”. Tra l’altro, “il dollaro ha attraversato anche un lungo periodo di debolezza nell’ultimo periodo in cui la borsa Usa ha sottoperformato, all’inizio dell’ultimo decennio”.
Authers non nega la presenza di fattori che potrebbero portare l’azionario globale, a un certo punto, a fare meglio della borsa Usa, superandola. Tanto che scrive che “se doveste aver bisogno oggi di acquistare azioni con l’intenzione di tenerle in portafoglio per un decennio, probabilmente dovreste scegliere nomi non americani. Ma molti bramano il momento perfetto. E – si chiede Authers – ci sono motivi per cui questo dovrebbe coincidere con l’anno prossimo?”.
Borsa Usa da America First: la minaccia Elisabeth Warren
In realtà un motivo c’è. E ad ammetterlo è lo stesso autore: “La ragione migliore che potrebbe essere addotta per avallare questa previsione si chiama Elisabeth Warren. Così come ho scritto all’inizio di questa settimana, è incredibile quante volte il nome della senatrice del Massachusetts venga fatto nei vari discorsi, e quanta paura, gli investitori, abbiano di lei”.
Tra l’altro, anche se non emergerà vittoriosa (nelle elezioni presidenziali Usa del 2020), Kaletsky ritiene che il rischio politico sia pronto ormai a spostarsi dall’altra parte dell’Atlantico”, traslocando dall’ Italia e dal Regno Unito (nel menzionare l’Italia, Authers dice chiaramente che il paesenon dovrà scontrarsi più con Bruxelles riguardo alla questione del deficit di bilancio, ora che Matteo Salvini non è più al potere. Menzionato anche il Regno Unito che, contrariamente a quanto aveva detto tante di quelle volte il premier Boris Johnson, non ha lasciato l’Unione europea senza un accordo. Praticamente, insomma, un no-deal Brexit non si è verificato)”.
Il rischio politico dovrebbe invece interessare, a questo punto, gli Stati Uniti, dove “ci sono tutti i segnali dell’arrivo di un caos politico“. E proprio “Warren potrebbe fornire il fattore di catalizzazione per una correzione”. Tra l’altro, insieme a Bernie Sanders, Elisabeth Warren viene considerata nemica acerrima del capitalismo. Questo dunque è un motivo più che valido, secondo qualcuno, e per lo stesso Authers, per impedire a Wall Street di continuare indisturbata a detenere lo scettro di America First nell’azionario globale.