Effetto dividendi altera (non poco) il concambio Mps-Mediobanca. Gli schieramenti dei fondi per l’Ops

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L’effetto dividendi smuove un po’ le acque nel pantano del maxi-risiko bancario. Ieri hanno staccato la cedola molte delle protagoniste dell’ondata di M&A a Piazza Affari. L’unica che aveva già sbrigato la pratica il mese scorso era Unicredit.
Spicca tra tutti il super dividendo di Banca Mps (0,86 euro per azione, pari a un yield di oltre il 10%) il cui titolo ieri ha recuperato in parte il gap legato all’effetto cedola chiudendo a +3,85%. Giornata più tranquilla per la ‘preda’ Mediobanca (-0,54%) che ha staccato un acconto sul dividendo per l’esercizio 2024-25 che chiuderà a giugno pari a 56 centesimi.
Effetto cedola: il concambio sale, lo sconto scende
I movimenti di ieri dettati dall’effetto cedola hanno ricucito lo sconto dell’offerta senese, che si era allargato nelle precedenti settimane in scia all’operazione orchestrata da Piazzetta Cuccia su Banca Generali.
Al momento dell’annuncio dell’offerta lo scorso 24 gennaio era stato indicato un concambio di 2,3 azioni Mps per ogni azione Mediobanca. L’offerta prevedeva un riallineamento in caso di stacco dividendi prima del regolamento dell’Ops. “Qualora, prima della Data di Pagamento, l’Emittente e/o l’Offerente dovessero pagare un dividendo (ivi incluso un acconto sui dividendi) e/o effettuare una distribuzione di riserve ai propri azionisti, o comunque fosse staccata dalle Azioni Mediobanca e/o dalle azioni di MPS, a seconda del caso, la cedola relativa a dividendi deliberati ma non ancora pagati rispettivamente dall’Emittente e/o da MPS, il Corrispettivo sarà aggiustato per tenere conto del dividendo distribuito (ovvero del relativo acconto) ovvero della riserva distribuita”, rimarca la nota con cui Mps ha accompagnato l’annuncio dell’Ops.
Secondo i calcoli degli analisti riportati oggi da Il Sole 24 Ore il concambio passa da 2,3 a 2,5327 dopo lo stacco cedola da parte di entrambe le banche. Questo implica un quasi dimezzamento dello sconto sull’offerta dall’11,5% di venerdì al 6,6% circa alla chiusura di ieri.
Niente rilancio in vista
Rocca Salimbeni non intende scostarsi da quanto offerto a gennaio al momento dell’annuncio dell’operazione. L’ad Luigi Lovaglio ha escluso implicitamente un’aggiunta di denaro: “Al livello attuale penso che l’offerta sia corretta”, ha ribadito nelle scorse settimane. “Se oggi in questa situazione fossimo già una realtà unica – ha sottolineato il banchiere parlando di Mps-Mediobanca – saremmo più forti, avremmo un livello più alto di capitale e una capacità di reagire più velocemente”. “La situazione attuale conferma che la dimensione conta e che c’è bisogno di unire i ricavi”.
Il management di Mediobanca dal canto suo ritiene che l’offerta di scambio di Mps presenti problematiche sia finanziarie che industriali che impediscono la creazione di valore per gli azionisti, portando a sinergie negative, in particolare per il CIB (Corporate & Investment Banking) e il Wealth Management. Piazzetta Cuccia segnala inoltre che l’acquisizione di Mediobanca insieme a Banca Generali (su cui la merchant bank ha lanciato un’Ops) comporterebbe un ulteriore rischio di esecuzione per Mps (cioè due operazioni da gestire contemporaneamente).
I fondi pronti a schierarsi
Intanto emergono le possibili posizioni dei grandi fondi sull’adesione o meno all’offerta. A prevalere sono le posizioni contrarie, a partire da Blackrock. Stando ai verbali dell’assemblea di Mps dello scorso 17 aprile, che ha dato il via libera all’aumento di capitale propedeutico all’Ops, il gigante Usa dei fondi ha votato contro l’adc. Blackrock ha una quota minima in Mps (0,3%), mentre è ben presente nella preda Mediobanca con il 3,5% del capitale e quindi la possibile non adesione all’Ops avrà il suo peso. Tra i no all’adc di Mps di soggetti presenti in entrambe le banche spiccano anche Dimensional (che stando a quanto riferisce Bloomberg ha in mano lo 0,44% di Mediobanca), Ubs (0,42%), Bnp Paribas (0,22%), State Street (0,28%) Hsbc e Goldman Sachs.
Non hanno preso posizione invece, astenendosi, i fondi di Jp Morgan (che detengono lo 0,26% di Mediobanca). Tra i grandi nomi internazionali spicca il sì di Vanguard che ha un peso non irrilevante (2,71%) nel capitale di Piazzetta Cuccia.
Il fronte italiano del sì è invece molto ampio, a partire dal tandem composto da Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin della famiglia Del Vecchio, entrambi soci di spicco sia in Mps che in Mediobanca. Si segnalano infine anche i voti favorevoli lo scorso 17 aprile dei fondi Mediolanum Best brands european small cap equity e Mediolanum Best brands financial income strategy. Potrebbe quindi ipotizzarsi un sì del gruppo che fa capo alla famiglia Doris (che complessivamente ha il 4,5% di Mediobanca).