Notizie Notizie Italia Economista ex FMI: Bce stia attenta, già responsabile di un trauma da cui l’Italia non si è mai ripresa

Economista ex FMI: Bce stia attenta, già responsabile di un trauma da cui l’Italia non si è mai ripresa

12 Giugno 2018 12:53

Si chiama Ashoka Mody ed è un economista ex Fmi. Professore in visita presso la divisione di politica economica internazionale dell’Università di Princeton, Mody è stato assistant director presso il dipartimento europeo dell’Fmi, oltre ad aver scritto un libro il cui titolo dice tutto: “EuroTragedy: A Dramma in Nine Acts”, ovvero “Eurotragedia: un dramma in nove atti“.

In un editoriale pubblicato su MarketWatch, l’economista emette una sentenza, a poche ore dal prossimo meeting della Bce di Mario Draghi, dopodomani giovedì 14 giugno. Meeting atteso con trepidazione, in quanto potrebbe decretare la fine del QE, o illustrare almeno la road map del grande passo.

Fine dei giochi, la spina sta per essere staccata: molto probabilmente sarà questo il messaggio che Draghi & Co. lanceranno ai mercati, sebbene non manchino visioni contrastanti.

Nell’attesa, Mody scrive: “Italy never should have joined the euro, and the ECB can’t rescue it from its next crisis”. Ovvero, tradotto: “l’Italia non avrebbe mai dovuto aderire all’euro, e la Bce non riuscirà a salvarla dalla sua prossima crisi”.

Una sentenza, racchiusa nel titolo dell’articolo che, in realtà, non è del tutto nuova. Si sa: allarmi e profezie nefaste hanno preceduto e accomnpagnato la formazione del governo M5S-Lega, paventando vari “worst case scenario”, rischi contagio, rottura dell’euro, uscita dell’Italia dall’euro, tempeste finanziarie varie.

Mody tuttavia non si limita a fare una previsione, nel momento in cui afferma che “l’Italia potrebbe far scivolare l’Eurozona in una crisi ingestibile”; così come non si limita a citare l’enorme debito pubblico italiano, pari a 2,5 trilioni, “della stessa dimensione circa dei debiti di Francia e Germania, e più alto dei debiti governativi combinati di Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda, “i quattro paesi che sono stati costretti a ricorrere ai bail-out finanziari”.

Economista: quel trauma Bce da cui Italia non si è mai ripresa

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L’economista parla anche di una sorta di peccato originale della Bce, commesso nei confronti dell’Italia.

La Bce, ricorda, non è stata infatti sempre la banca centrale salvifica di Mario Draghi a cui i mercati, grati, si sono abituati negli ultimi anni. La Bce è, infatti, anche quella che “il 7 luglio del 2011 (capitanata dall’allora numero uno Jean Claude Trichet) commise l’errore catastrofico di alzare i tassi di interesse, mandando nel panico i mercati finanziari”.

“Tra la metà del 2011 e del 2012, le turbolenze finanziarie regnavano in gran parte dell’Eurozona, soprattutto in Spagna e in Italia”. Dopo che la crisi finanziaria era esplosa in tutto il mondo tra il 2007 e il 2009, “la crisi dell’Eurozona stava acuendo le fragilità economiche e finanziarie dell’Italia, presenti già prima della sua adesione all’euro”.

Per Mody, era chiaro che una politica monetaria comune non avrebbe potuto funzionare, sia per la forte economia tedesca che, contestualmente, per “una economia italiana sempre più decrepita”.

Ma, in quel contesto, a peggiorare le cose fu proprio la Bce:

“Entro la metà del 2011, nel bel mezzo dell’austerity fiscale richiesta dalle autorità dell’Eurozona, l’Italia avrebbe avuto bisogno disperatamente di una politica monetaria accomodante e di un forte deprezzamento dell’euro”.

Ma la Bce decise appunto di alzare i tassi e, secondo Mody, il risultato fu che “l’Italia non si riprese mai da quel trauma”.

L’economista continua, ripercorrendo la storia degli ultimi anni e ricordando il tentativo di Draghi, nel luglio del 2012, di leccare le ferite, con la “promessa plateale” del “whatever it takes”, di salvare i paesi dell’Eurozona.

“Entro il momento in cui la Bce lanciò il piano QE, (tra l’altro) in gran ritardo, nel gennaio del 2015, l’Italia era già invischiata nella trappola della bassa inflazione: prevedendo una ripresa al massimo modesta dei prezzi, gli italiani si trattenevano dallo spendere, e tale fattore fece rimanere bassa l’inflazione”.

“Oggi – scrive Mody – il tasso di inflazione (italiano) è fermo allo 0,6% circa, le aziende e i consumatori italiani fanno fronte a tassi di interesse reali (aggiustati tenendo conto dell’inflazione) superiori al 2%. E non possono permettersi tassi così alti: con una produttività dell’economia stagnante da anni,  unita al forte calo degli investimenti durante gli anni della recessione, il Pil è atteso a un ritmo di crescita inferiore all’1% l’anno, nel corso dei prossimi tre-cinque anni. E con lo smorzarsi della crescita commerciale globale, il Pil italiano potrebbe tornare in condizioni di recessione. Se dovesse accadere questo, i debitori farebbero fatica a rimborsare i prestiti alle banche italiane, tra l’altro perennemente deboli. Le entrate fiscali scenderebbero, rendendo ancora più difficile il ripagamento, da parte dell’Italia, dell’enorme debito“.

Dunque?

In questa situazione l’economista scrive che, semmai l’Italia dovesse scivolare in un’altra crisi, la Bce, diversamente da quanto fatto nel luglio del 2012, potrebbe non riuscire questa volta a salvarla.

“In linea di principio, la Bce può acquistare una quantità illimitata di bond italiani, riducendo i tassi di interesse e allontanando la crisi. Ma, così facendo, visto che detiene già un quarto dei debiti sovrani italiani, la banca centrale finirebbe per rischiare enormi perdite, in caso di default del governo”.

Tra l’altro Mody punta il dito sia contro la Bce, dove perfino Peter Praet, “responsabile economista colomba”, è pronto a cantare vittoria nel decretare la fine del QE, sia contro i paesi del Nord dell’Eurozona, che si basano su previsioni fin troppo improntate all’ottimismo, che “ignorano i segnali di rallentamento del momentum della crescita”.

Nessuno di loro “riesce a capire, in particolare, la trappola in cui l’Italia è finita. E se la Bce porrà fine al QE, l’euro si rafforzerà e i tassi di interesse reali dell’Italia saliranno ancora di più, aumentando la fragilità finanziaria dell’Italia. In un tale contesto, lanciare il programma di acquisto diretto dei bond (della Bce), ovvero l’OMT (che tra l’altro non è stato mai usato) darebbe il via a trattative nervose con le autorità italiane su una eventuale austerity fiscale, e ciò creerebbe una crisi politica ben prima di un possibile aiuto finanziario di qualsiasi tipo che la Bce fosse pronta ad accordare”.

A quel punto, il dado sarebbe ormai tratto, e anche previsto dal momento che, secondo l’economista, il fato dell’Italia è stato deciso nel momento in cui Roma ha scelto, “facendo male i suoi calcoli, di entrare nell’euro”.

L’esplosione di una nuova crisi, a quel punto, scatenerebbe un effetto a catena in tutta l’Eurozona, con ripercussioni anche sui “sistemi finanziari globali”.

Una “recessione italiana potrebbe creare una pressione insostenibile sulle banche, ancora alle prese con la zavorra degli NPL (crediti deteriorati)”. Si ripresenterebbe la tragedia del circolo vizioso:  a causa della recessione, “le minori entrate fiscali farebbero salire il deficit, e gli investitori chiederebbero tassi di interesse più alti, mettendo l’economia e le banche italiane in una situazione di stress maggiore”.

A “causa della sua grande dimensione e delle sue profonde vulnerabilità”, l’Italia potrebbe scatenare a quel punto un effetto domino che andrebbe a scuotere, secondo Mody, non solo l’Eurozona, “ma il mondo intero”.