Notizie Notizie Italia Economia Eurozona in frenata, occhio a dati Pmi. Altro che ottimismo Italia, recessione non è più tabù

Economia Eurozona in frenata, occhio a dati Pmi. Altro che ottimismo Italia, recessione non è più tabù

23 Novembre 2018 12:35

L’economia europea frena, i dati continuano a dimostrarlo: l’ultimo è quello diffuso oggi da Markit, che certifica come la crescita del settore privato dell’Eurozona sia capitolata al livello più basso dalla fine del 2014.

Il Pmi stilato da Markit, relativo al mese di novembre, è sceso di fatto a 52,4 punti, dai 53,1 punti di ottobre, al minimo degli ultimi 47 mesi.

In particolare, l’indice PMI manifatturiero è scivolato a 51,6 punti, al minimo dall’aprile del 2016 e a un valore ben al di sotto dei 52,3 punti attesi.

Il PMI dei servizi è calato a 53,1 punti, anche in questo caso al minimo in più di due anni.

Confortante è sapere che gli indicatori sono rimasti al di sopra dei 50 punti, linea di demarcazione tra fase di contrazione dell’economia (valori al di sotto) e fase di espansione (valori al di sopra).

Ma non si tratta, poi, di una grande consolazione: andando ad approfondire la lettura dell’indice Pmi, emerge che le aziende manifatturiere hanno segnalato un sentiment particolarmente negativo, a conferma di come i timori sulla guerra commerciale stiano avendo un considerevole impatto sulle loro strategie.

Markit rivela infatti che “le aziende manifatturiere hanno attribuito la responsabilità dell’indebolimento della crescita alla domanda globale più debole, all’aumento dell’incertezza politica ed economica, alle guerre commerciali e, in particolare, al rallentamento delle vendite di auto“.

Impressiona anche il trend deludente della Germania, motore dell’economia europea.

L’indice PMI Composite tedesco è calato al minimo in quasi quattro anni, con la crescita degli ordinativi a livelli vicini alla stagnazione, a causa dell’ulteriore flessione delle nuove esportazioni.

Come ha scritto in un tweet Emanuele Canegrati, senior analyst di BPPrime, “sembra che la guerra commerciale stia facendo vittime in Europa, e la ‘recessione’ non è più una parola vietata”.

La Francia ha fatto anche peggio: 50,7 punti, al valore più basso dall’ottobre del 2016 e contro i 51,3 punti, e soprattutto 0,7 punti appena distante dalla recessione.

I numeri fanno pensare all’Italia, con il governo M5S-Lega così convinto di riuscire a centrare il suo target di crescita del Pil, fissato per il 2019 a +1,5%. In un contesto di tale rallentamento dell’Eurozona, di cui è tra l’altro fanalino di coda, come può l’Italia giustificare le stime contenute nella legge di bilancio?

Lo stesso Canegrati, riferendosi alla bocciatura della manovra da parte della Commissione europea, avvenuta mercoledì scorso 21 novembre, ha scritto su Twitter:

La cosa peggiore per l’Italia sono le parole di Dombrovskis (Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea), che ritiene che nel paese non solo non stia arrivando la crescita sperata dall’esecutivo gialloverde, ma che stia arrivando addirittura l’austerità. Ciò significa che il paese – continua Canegrati – quando scatterà la procedura (di infrazione), dovrà varare misure del valore di 20 miliardi l’anno, per ridurre il debito pubblico verso la soglia del 60%, nel corso dei prossimi cinque anni. Terribile”.

Tornando ai dati di Markit, occhio al commento del responsabile economista della società, Chris Williamson:

“L’indebolimento della crescita del settore privato in Europa al ritmo più basso in quattro anni si aggiunge ai segnali di una economia orientata a una fine dell’anno deludente. Quella manifatturiera rimane la principale area di debolezza, in parte a causa dal forte impatto, per l’ennesima volta, del deterioramento delle esportazioni. Il rallentamento è stato esacerbato in via temporale anche dalle vendite di auto, che continuano a rivelarsi deludenti. A novembre sono giunti inoltre segnali che dimostrano come il rallentamento del settore manifatturiero stia contagiando anche il settore dei servizi, visto che ci sono indicazioni di indebolimento della domanda da parte dei consumatori e delle aziende, a fronte di ostacoli come l’aumento dell’incertezza politica, le condizioni più rigide di accesso ai finanziamenti e l’aumento dei prezzi”.

A questo punto la domanda è: la Bce sta per essere smentita?

In un certo senso lo è stata già. I dati l’hanno costretta a smorzare i toni di fiducia nella ripresa dell’Eurozona. Proprio ieri, il capo economista Peter Praet ha ammesso infatti che i rischi al ribasso sono aumentati, pur sottolineando che “l’outlook complessivo rimane ampiamente bilanciato”.

Certo, i dati non avallano molto la decisione dell’istituto di Mario Draghi, che tra l’altro dovrebbe essere annunciata nella prossima riunione tra tre settimane, di porre fine al piano di Quantitative easing. Non per niente l’euro sconta il permanere di una politica monetaria molto espansiva (anche a prescindere dal QE), e per questo arretra di oltre mezzo punto percentuale, a $1,1349.