Notizie Valute e materie prime East Capital: “E’ il sentiment, e non il cheap oil, il vero problema dei Mercati Emergenti

East Capital: “E’ il sentiment, e non il cheap oil, il vero problema dei Mercati Emergenti

29 Marzo 2016 12:51
 
L’equazione “basso prezzo del greggio=affanno dei mercati Emergenti” è una specie di totem nel mondo della finanza. Ma è davvero così? “La correlazione tra i listini Emergenti e il prezzo del greggio non è basata sui fondamentali – dice Marcus Svedberg, capo economista di East Capital – Gran parte dei Mercati Emergenti sono in realtà importatori netti di petrolio, e di conseguenza sono avvantaggiati da un prezzo più basso“. Non solo. Come sottolinea ancora Svedberg, l’energia rappresenta solo il 7% dell’indice MSCI EM. “Alcune differenze sono invece presenti sui mercati di frontiera – spiega Svedberg – Alcuni di questi, tra i quali spiccano l’Arabia Saudita e l’Iran, sono tra i principali esportatori di petrolio, ma il peso dell’energia nell’indice dei mercati di frontiera rimane tuttavia inferiore al 10%“.
La forza del sentiment
Secondo Svedberg la ragione di questa correlazione è principalmente legata al sentiment, dato che un prezzo del petrolio in calo tende a essere associato a una riduzione della propensione al rischio. In altri termini, i Mercati Emergenti sono ancora percepiti come più rischiosi dei mercati occidentali e sono quindi penalizzati dal binomio “cheap oil” e volatilità. “L’indice di riferimento dei listini Emergenti indica una correlazione relativamente stretta con il prezzo del petrolio negli ultimi quindici anni – spiega Svedberg – Ma questo non è un fattore necessariamente esclusivo dei mercati Emergenti e di frontiera, né basato sui fondamentali. L’andamento dei mercati azionari in generale riflette l’andamento del prezzo del petrolio nonostante i Paesi sviluppati riescano a ridurre la volatilità riuscendo a smussare gli effetti dei massimi (come nella prima metà del 2008) e dei minimi (come nella seconda metà del 2015)”. In ogni caso, fa notare il gestore di East Capital, di recente tutti i mercati hanno performato meglio rispetto all’andamento del prezzo del petrolio, forse come risultato del fatto che l’attuale debolezza del prezzo del greggio sia principalmente dovuta alla sovrapproduzione piuttosto che a una domanda fiacca.
Stimolo per le riforme

Alla fine, nonostante il “greggio a sconto” rappresenti un elemento positivo soprattutto per gli importatori, non è necessariamente un male per gli esportatori. Prezzi bassi del petrolio, infatti, stimolano all’interno di questi Paesi l’implementazione di riforme che, nei periodi in cui il prezzo del greggio rimane alto, non sono ritenute necessarie. “Un valido esempio è rappresentato dalla riforma del tasso di cambio verso un meccanismo fluttuante, come avvenne in Russia nel 2014 – spiega Svedberg – Il consolidamento del budget è un altro elemento di vantaggio, anche se non mancano esempi negativi, come il rifiuto della Nigeria, grande esportatore di petrolio, di svalutare la propria divisa”. Nello stesso modo le attuali quotazioni stanno rendendo più facile anche ai Paesi importatori, come India e Indonesia, l’implementazione di riforme come la parziale rimozione di costosi e distorsivi sussidi all’energia. E si tratta di limitazioni che sarebbero state molto meno probabili se i prezzi del greggio fossero rimasti elevati. “È improbabile che questi fattori fondamentali muovano i mercati azionari nel breve periodo, specialmente fino a quando registreremo alti livelli di volatilità, ma dovrebbero aiutare a riaccendere i riflettori sui Mercati Emergenti una volta che il prezzo si sarà stabilizzato”, dice Svedberg. Che aggiunge: “In fin dei conti, è discutibile se sia la volatilità piuttosto che gli attuali livelli dei prezzi a guidare il sentiment di mercato. E, a mio giudizio, è più l’aspettativa di un calo del prezzo del greggio, piuttosto che il prezzo basso in sé, a rappresentare un problema per i Mercati Emergenti“.