Notizie Notizie Italia Dossier Alitalia ma non solo, M5S-Lega vogliono nuova IRI? Allarme FT su ingerenza Stato

Dossier Alitalia ma non solo, M5S-Lega vogliono nuova IRI? Allarme FT su ingerenza Stato

11 Luglio 2019 09:39

Troppa ingerenza dello Stato nel mondo delle imprese? L’FT torna a strigliare l’Italia, lanciando un alert sul rischio che la politica economica del governo M5S-Lega finisca per allontanare gli investitori: tra i casi riportati, c’è anche quello di UniCredit che, stando ai recenti rumor del Sole 24 Ore, starebbe pensando di creare una subholding in Germania. Tra i motivi, quello di prendere le distanze dal rischio Italia.

“Rome’s anti-business stance is ringing alarm bells for investors”, è il titolo dell’articolo dell’Ft, che riprende nella sua analisi anche il dossier Alitalia che si chiuderà, come hanno fatto sapere dal Mise, entro la scadenza fissata al prossimo 15 luglio.

Ciò che viene rimarcato più volte dal Financial Times è la continua ingerenza dello Stato in affari che dovrebbero rimanere, è il caso di dirlo, privati. Tanto che il quotidiano finisce anche per fare un paragone con l’Italia di Mussolini:

Lo Stato italiano sta diventando invasivo negli affari in un modo che riporta alla mente l’IRI, l’Istituto per la ricostruzione industriale dell’Italia creato dal leader fascista Benito Mussolini nel 1933. I ministri hanno suggerito anche di far ricorso a Cassa depositi e Prestiti per cercare di risolvere diversi dossier, dalle banche alle tlc all’industria”.

L’idea dell’IRI, continua l’FT, piace a “un governo italiano che cerca voti in un economia afflitta dalla povertà e dalla disoccupazione”. Anche perchè, “al tempo dei suoi splendori, negli anni ’80, l’IRI dava lavoro a mezzo milione di persone, possedendo 1000 aziende. Ma alla fine è incappata in forti perdite, fino alla sua liquidazione nel 2002″.

Tornando al caso di Alitalia, l’Ft scrive che “nell’ultima puntata del dramma di un’agonia, si è appreso che  il gruppo di infrastrutture Atlantia della famiglia Benetton starebbe valutando di fare un investimento di circa 300 milioni di euro per acquistare una quota di minoranza in Alitalia”.

La questione, ricorda l’FT, sarà esaminata nel cda di Atlantia, che si svolge nella giornata di oggi. Atlantia, continua il quotidiano britannico, potrebbe rilevare una quota del 30% circa di una nuova holding che avrebbe l’obiettivo di rimettere in piedi Alitalia. Questa holding – spiega ancora il Financial Times ai suoi lettori – sarebbe controllata dalla società ferroviaria controllata a sua volta dallo Stato, Ferrovie dello Stato, e dallo Stato stesso, attraverso il Ministro delle Finanze.

Per chi non ricordasse come sono andate le cose in passato, l’FT rinfresca la memoria, mettendo in evidenza come, nel caso in cui i rumor si concretizzassero, Atlantia inietterebbe risorse in Alitalia per la terza volta.

“La società autostradale quotata in Borsa, di proprietà della famiglia Benetton, ha partecipato già a due ricapitalizzazioni (della compagnia aerea) nel 2008 e nel 2017, in quest’ultimo caso con un piano che ha coinvolto la compagnia aerea di Abu Dhabi Etihad“.

I salvataggi di Alitalia, viene sottolineato ancora, sono costati ai contribuenti italiani almeno 9 miliardi di euro in più di un decennio. E, ammonisce l’FT, “non ci sono ragioni logiche per pensare che quest’ultimo sforzo per risanare la compagnia aerea funzionerà meglio di tutti gli altri compiuti negli ultimi anni”.

Ciò che l’FT mette in evidenza, è soprattutto l’ingerenza dello Stato nel mercato. L’articolo fa riferimento alla strategia del bastone e della carota che il governo M5S-Lega ha adottato nei confronti di Atlantia, a causa del collasso del Ponte Morandi di Genova avvenuto nel tratto autostradale gestito dalla sua controllata Autostrade. Il riferimento è all’atteggiamento ostile creatosi con l’esecutivo giallo-verde che ha “raggiunto un nuovo livello di allarme”.

E il rischio, sentenzia l’FT, è la fuga degli investitori. D’altronde, oltre a citare UniCredit, l’FT fa riferimento anche ai casi di Ferrero, Essilor Luxottica e Fiat Chrysler, tra le aziende italiane più importanti che hanno o spostato la loro sede principale o abbandonato la quotazione in Italia o intenderebbero, comunque, farlo.