Notizie Notizie Italia I discussi vantaggi del populismo anti-establishment

I discussi vantaggi del populismo anti-establishment

3 Gennaio 2017 12:45

Le accuse di populismo non hanno fermato alcuni leader politici e i loro partiti che anzi, sembrano avvantaggiarsene. E i mercati, per il momento, dimostrano di apprezzare le proposte economiche del “populista” che si siederà sulla poltrona presidenziale degli Stati Uniti

 

Accusato di populismo, Donald Trump ha vinto le elezioni e sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.

Cosa hanno in comune Donald Trump, Nigel Farage, Marine Le Pen, Beppe Grillo e Matteo Salvini? Tutti sono stati bollati come “populisti”. Uno stigma che nel 2016, invece di isolarli, ha contribuito a esaltarli. Portandoli a diversi risultati importanti che hanno contribuito a cambiare gli scenari geopolitici mondiali.

Donald Trump ha vinto le elezioni e il 20 gennaio siederà sulla poltrona presidenziale degli Stati Uniti. Nigel Farage, leader di Ukip il partito nazionalista britannico, ha visto i suoi concittadini votare a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Marine Le Pen, Beppe Grillo e Matteo Salvini sono stati tra i primi a complimentarsi per il voto, così come lo stesso Farage, qualche mese più tardi, ha accolto con gaudio la vittoria del no al referendum italiano sulla riforma costituzionale. Un “no” sostenuto, tra gli altri, da Salvini e Grillo.

Tutti hanno visto i consensi per i loro schieramenti crescere tanto più quanto aumentavano le accuse di populismo e gli allarmi di analisti finanziari, esperti di economia, partiti di governo.Finora il mondo non è crollato e, anche se è un po’ presto per cantare vittoria, c’è chi si chiede se si può trovare qualcosa di buono anche nel tanto vituperato populismo.

Isolazionismo o ricostruzione delle nazioni?

Le vittorie di Brexit e di Trump hanno scosso l’ordine economico-politico – commentano gli analisti di Legg Mason – incanalando un prevalente sentimento isolazionista e sfidando il principio della globalizzazione. Facendo leva sul declino economico decennale della classe media, il malcontento ha puntato l’attenzione sulla perdita di posti di lavoro e sul ristagno dei redditi, in uno scenario di crescente interdipendenza delle economie mondiali”.

La soluzione proposta è fare un passo indietro e investire sul proprio Paese. In questo la Trumpeconomics sta segnando la via maestra: stimoli fiscali e investimenti infrastrutturali. I quali, tuttavia, presuppongono un aumento del debito pubblico “tema scottante sia in Europa, così come negli Stati Uniti”. Finora i mercati si sono concentrati sul potenziale di rialzo legato a questi stimoli” senza considerare più di tanto l’altra faccia del problema.
Effetti sugli investimenti

“Non è ancora chiaro come si concilieranno queste due visioni – prosegue il report di Legg Mason – eppure, in entrambe le economie, l’attenzione allo stato di salute dell’economia interna potrebbe generare un ritrovato interesse per gli investimenti di natura prettamente domestica: ristrutturazione di ponti, strade, sistemi idrici e trasporti”.

“Potremmo assistere – aggiungono da Rare – ad un passaggio dalla politica monetaria delle banche centrali alla spesa pubblica adottata dai governi. Dato che la spesa pubblica è molto più facile da comprendere e prevedere rispetto alla politica monetaria, questo passaggio potrebbe risultare molto positivo”.

Ciò vale soprattutto se le posizioni isolazioniste più estreme verranno moderate. In tal caso “un’economia Usa pro-crescita – basata sugli investimenti in infrastrutture, sulla riduzione delle imposte per le persone fisiche e per le imprese, una minore regolamentazione e nuovi investimenti nel settore energetico – dovrebbe essere un fattore positivo per la crescita economica mondiale, persino per i Paesi in via di sviluppo come il Messico”.

Per quanto riguarda l’Europa, gli analisti di Martin Currie ritengono che “l’affermarsi di un clima anti-establishment e il riemergere del debito greco sono alcuni degli elementi che accenderanno lo scenario politico, rendendo difficile la conquista del consensus. Tuttavia, il potenziale di cambiamento potrebbe finire per provocare una certa armonizzazione. Lo scenario di crescita costantemente bassa e di isolazionismo politico potrebbe essere l’elemento cruciale per spingere i governi ad intervenire per stimolare le proprie economie, spostando la direzione generale dell’intera regione”.