Notizie Notizie Italia Ddl capitali per blindare Piazza Affari. I nodi voto maggiorato e voto plurimo

Ddl capitali per blindare Piazza Affari. I nodi voto maggiorato e voto plurimo

14 Luglio 2023 11:29

Ddl Capitali: è questo lo strumento giusto per arginare l’esodo delle società quotate da Piazza Affari?

Nelle ultime ore, dopo il sostegno all’iniziativa arrivato settimane fa già dalla Consob di Paolo Savona, un commento positivo sul disegno di legge che vuole promuovere una sorta di Italy First per le aziende italiane quotate, matricole o aspiranti tali, è arrivato dal direttore affari finanziari e dell’impresa dell’Ocse, Carmine Di Noia.

In audizione alla commissione Finanze e Tesoro del Senato, Di Noia ha commentato il ddl capitali, che ha come obiettivo quello di blindare la borsa di Milano, affermando che “la valutazione del disegno di legge sulla competitività del mercato dei capitali è complessivamente positiva”, in quanto “il ddl rappresenta un ulteriore passo per rafforzare la cornice regolamentare e istituzionale di cui l’Italia ha bisogno per rilanciare il suo mercato dei capitali a livello nazionale, europeo e globale”.

D’altronde, così come si ricorda sul sito del Senato dedicato al ddl capitali, in particolar modo nel contesto di riferimento, è stata la stessa Ocse a raccomandare all’Italia il perseguimento di precisi obiettivi.

Tra questi, la promozione delle “nuove ammissioni alla quotazione sul mercato regolamentato”, dunque il lancio di Ipo che abbiano come destinazione Piazza Affari; il miglioramento delle condizioni a favore della partecipazione di investitori individuali qualificati; l’incoraggiamento alla partecipazione ai mercati dei capitali italiani da parte degli investitori istituzionali.

In generale, con il ddl capitali si vuole colmare un gap che vede Piazza Affari ancora sottodimensionata rispetto ad altre economie avanzate.

Ddl capitali: cosa dice il testo. Il voto plurimo

L’intento del disegno di legge è quello di varare “misure volte a stimolare la crescita del mercato dei capitali italiano, favorendo l’accesso e la permanenza delle imprese nell’ambito dei mercati finanziari”.

Il ddl capitali si prepone di concretizzare il libro verde della finanza del governo Draghi.

Al momento il disegno di legge è all’esame della commissione Finanze del Senato, che ha prorogato al 20 luglio il termine per la presentazione degli emendamenti.

Si è discusso in questi ultimi giorni sulla possibilità che il vulnus della borsa di Milano rispetto alle altre borse possa essere risolto, in parte, con il solo potenziamento del voto plurimo, lasciando invariate le disposizioni sul voto maggiorato. Riserve sono state espresse al riguardo.

Nell’Articolo 13 del testo del ddl capitali si legge che l’obiettivo è di apportare alcune modifiche all’articolo 2351, quarto comma, ultimo periodo del Codice civile, per portare da tre a dieci del numero di voti che può essere assegnato, per statuto, a ciascuna azione a voto plurimo.

Il testo rileva che “quasi un terzo delle società quotate italiane ha adottato il voto maggiorato, mentre sono rari i casi in cui le società quotate hanno adottato il voto plurimo prima della quotazione” e che il “motivo di questa scarsa utilizzazione potrebbe risiedere nel limitato fattore moltiplicatore (a legislazione vigente, 1:3 che appare delimitato rispetto alla previsione di altri ordinamenti e non sufficiente a facilitare e incentivare il ricorso al mercato dei capitali”.

Di conseguenza, considerando “l’evoluzione degli ordinamenti europei e internazionali, il MEF ritiene opportuno riflettere su un possibile rafforzamento dell’effetto moltiplicatore, almeno per la vigente disciplina del voto plurimo a favore delle società di possibile futura quotazione”.

Questa riflessione si traduce per l’appunto nella proposta del Ddl capitali, che punta a potenziare l’istituto del voto plurimo per quelle società che puntano ad approdare a Piazza Affari, dunque a quotarsi con il lancio di un’Ipo:

il rafforzamento del voto plurimo permetterebbe alle società non quotate di assegnare nel periodo precedente al debutto in Borsa, dunque in fase pre-lancio Ipo, di assegnare agli azionisti già presenti azioni speciali, con un voto plurimo con rapporto di 1:10 rispetto all’attuale rapporto 1:3.

Sulla questione il dibattito è però scattato subito.

Potenziamento voto plurimo 1:10 non sufficiente?

Una critica è arrivata negli ultimi giorni dall’avvocato Sergio Erede, fondatore dello studio BonelliErede, nel corso dell’audizione in Commissione Finanze e Tesoro dedicata proprio sul disegno di legge “Competitività dei capitali”.

Erede ha fatto notare che il rafforzamento del voto plurimo non sarebbe sufficiente, in quanto possibile solo per le società non quotate nella fase precedente al debutto in Borsa, quando invece l’esodo da Piazza Affari riguarda società che sono già quotate:

“Il decreto in esame nulla dispone a questo proposito, nonostante il fatto che il decreto preveda che il moltiplicatore 3 sia sostituito con il moltiplicatore 10. Questa disposizione non risolve il problema perché riguarda l’emissione di azioni a voto plurimo, azioni che non possono essere emesse da società quotate. Quando Brembo o Cementir vanno all’estero sono già quotate e cercano un sistema che consenta loro di entrare in combinations senza far perdere al maggiore azionista il controllo”.

Proprio Brembo ha, di fatto, comunicato di recente un piano per sbarcare in Olanda, così come avevano fatto prima Exor, Cementir, Ferrari.

Per Erede sarebbe opportuno dunque potenziare anche il voto maggiorato:

Occorre fare ricorso alle azioni con voto maggiorato, in quanto il voto plurimo è una categoria di azioni, mentre la maggiorazione del voto è un diritto speciale garantito all’azionista, che si perde con il trasferimento dell’azione”.

Governo Meloni apre a voto maggiorato

Nelle ultime ore, proprio il sottosegretario al Ministero dell’economia e delle finanze, Federico Freni, ha reso noto che il governo sta lavorando anche all’ipotesi di blindare il voto maggiorato, a favore delle società che sono già quotate a Piazza Affari.

“Molti azionisti stanno chiedendo misure più forti per permettere agli azionisti di lungo termine di società quotate di aumentare i loro diritti di voto nel corso del tempo. Ci stiamo riflettendo“, ha detto Freni, stando a quanto riporta un articolo di Reuters.

Freni ha dunque aperto alla possibilità che anche il voto maggiorato venga potenziato: le disposizioni vigenti consentono oggi di assegnare un diritto di voto maggiorato come “premio di fedeltà”, che si traduce nel conferimento, ricorda Reuters, di un massimo di due diritti di voto agli azionisti presenti da tempo nel capitale di una società quotata, ovvero da almeno 24 mesi.

Il sottosegretario al Mef non è entrato nel dettaglio, affermando che il governo Meloni potrebbe puntare a rafforzare il premio fedeltà con misure aggiuntive, permettendo così alla borsa di Milano di competere con le borse europee, dotandosi di una maggiore attrattività rispetto a quella attuale:

Mercati di capitali dinamici ed efficienti sono un fattore chiave per alimentare la crescita economica dell’Italia, in un momento in cui tassi di interesse più alti stanno rendendo i crediti delle banche sempre più costosi”, ha aggiunto Freni.

La necessità di una tutela pro azionisti di minoranza

Va detto che, di recente, la Consob si è mostrata favorevole al rafforzamento del voto plurimo, con l’aumento da tre a dieci dei diritti di voto delle azioni, spiegando che si tratta di sistemi “ormai ampiamente diffusi negli ordinamenti degli Stati membri”.

La Commissione ha però avvertito che “la previsione di misure a favore degli aumenti di capitale, in combinato disposto con la citata proposta di estendere da tre a dieci i diritti di voto connessi alle azioni a voto plurimo, amplifica il rischio di limitare i diritti di voce delle minoranze”.

Il potenziamento del voto plurimo comporta infatti “la sostanziale capacità del socio di maggioranza, che risulti anche in possesso di azioni a voto plurimo, di far approvare una delibera assembleare di aumento di capitale esclusivamente con il proprio voto favorevole”.

Di conseguenza il numero uno della Consob Paolo Savona ha sottolineato “l’esigenza di ‘adattare’ la normativa in materia di OPA obbligatoria, con particolare riferimento alla determinazione del prezzo dell’OPA in caso di emissione di azioni a voto plurimo”.

“Ciò al fine di assicurare adeguate tutele a favore dei soci di minoranza, nel caso in cui il pacchetto di controllo costituito da azioni a voto plurimo venga ceduto ad un prezzo che incorpora un premio di maggioranza”.

A spaventare gli azionisti di minoranza è ancora di più l’ipotesi delle azioni con diritto di voto maggiorato, che potrebbero rafforzare ancora di più la posizione dei soci di controllo.

Vero è che diverse società hanno preferito lasciare Piazza Affari per sbarcare in particolare in Olanda anche per il voto maggiorato, che alla borsa di Amsterdam prevede un fattore di moltiplicazione di 10, rispetto al massimo di due diritti di voto per azione che Piazza Affari consente agli azionisti stabili.