I fantasmi di un default si aggirano ancora sul Partenone. Alla Grecia potrebbe essere concesso più tempo per ripianare i prestiti avuti dai Paesi europei. Obiettivo conclamato è quello di evitare la bancarotta. Secondo il quotidiano ellenico Ta Nea i tempi del rimborso potrebbero essere allungati ad otto anni. Quindi l’ultima tranche del prestito di 110 miliardi di euro verrebbe pagata da Atene nel 2021 piuttosto che nel 2018.
Non è un mistero che nel Paese periferico la crisi non sia mai stata spazzata via. Per la Grecia la strada della ripresa appare ancora come un miraggio lontano. Nel corso di quest’anno Atene sperimenterà, infatti, una nuova contrazione dell’economia. Secondo le ultime indicazioni del Fondo monetario internazionale il Pil greco si contrarrà nel 2010 del 4% e il prossimo del 2,6%, con una disoccupazione rispettivamente all’11,8% e al 14,6%.
A rendere meno amare queste indicazioni è il contesto generale che si ritrova in Europa. In Spagna non andrà meglio: il Pil del Paese secondo il Fmi scenderà nel 2010 dello 0,3% per poi tornare a crescere nel 2011, quando segnerà un +0,7%. La vera spina nel fianco di Madrid si chiama disoccupazione: si attesterà al 19,9% nel 2010 e al 19,3% nel 2011. Una situazione simile sul fronte mercato del lavoro che si ritrova anche in l’Irlanda, dove quest’anno salirà al 13,5% e il prossimo al 13% a fronte di un Pil atteso in contrazione nel 2010 dello 0,3% e nel 2011 in progresso del 2,3%.
In generale la crisi, hanno confermato ieri i dati ufficiali dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite, ha causato perdite di posti di lavoro su larga scala e un livello di disoccupazione mai avuto prima: 210 milioni di persone, 30 milioni in più dal 2007. Come ha più volte fatto notare proprio questa organizzazione, è proprio il deficit globale di posti di lavoro a frenare la crescita economica e, soprattutto, creare tensioni sociali. Guardando avanti, e per colmare il deficit di posti di lavoro determinato dalla recessione, il mercato globale ha bisogno di 440 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi 10 anni. “E questa è solo la punta dell’iceberg”.
Secondo l’agenzia dell’Onu, infatti, da un lato una ripresa della crescita fragile e debole, e dall’altro la tendenza a ritardare misure che riducano il deficit di posti di lavoro si traduce a sua volta in nuova fragilità economica che può mettere a rischio la stabilità sociale. “Più tarderemo a invertire la contrazione ciclica dell’occupazione, più gravi diventeranno i problemi strutturali che risalgono a prima della crisi”, sostiene, infatti, l’istituzione che invita però ad evitare di riproporre quelle stesse politiche che hanno portato alla crisi.