Coronavirus, Iran & Co. Roubini: ‘attenti ai Cigni bianchi più che ai Cigni neri di Taleb’
Prima di pensare ai Cigni Neri di Nassim Taleb, forse è il caso di concentrarsi sui Cigni Bianchi. E’ quanto avverte Nouriel Roubini in un articolo pubblicato su Project Syndicate. Di Cigni bianchi l’economista e professore della New York University ricorda di aver già parlato nel suo libro del 2010, Crisis Economics. E’ stata in quell’occasione che Roubini, dice oggi, ha definito “le crisi finanziarie non ‘Cigni neri’ che Nassim Nicholas Taleb ha descritto nel suo eponimo bestseller, ma alla stregua di ‘Cigni bianchi’“.
Così Roubini: “Secondo Taleb i Cigni neri sono eventi che emergono in modo imprevedibile, come fa un tornado“. Ma “io credo che le crisi finanziarie assomiglino di più agli uragani: sono il risultato prevedibile di un’accumulazione di vulnerabilità economiche e finanziarie e di errori politici”.
Perchè, è in sostanza il ragionamento di Roubini, pensare di più a quegli eventi che è poco probabile che accadano, rispetto a quelli che invece potrebbero verificarsi da un momento all’altro? Perchè, praticamente, concentrarsi sugli eventi imprevedibili e non su quelli prevedibili?
“Ci sono fasi in cui si attende che il sistema raggiunga il suo momento critico – il ‘Minsky Moment’-, ovvero quel momento in cui boom e bolle si trasformano in crash ed esplodono. Questi eventi non sono ‘incognite sconosciute’ ma, piuttosto, ‘incognite conosciute’. Riguardo a quest’anno, nello specifico, al di là dei “soliti rischi economici e politici di cui la maggior parte degli analisti finanziari si preoccupa, sono visibili all’orizzonte alcuni Cigni bianchi dagli effetti potenzialmente sismici. Ognuno di essi potrebbe scatenare turbolenze economiche, finanziarie, politiche e geopolitiche come mai avvenuto dalla crisi del 2008″.
“Per iniziare – si legge nell’articolo di Nouriel Roubini -gli Stati Uniti sono intrappolati in una rivalità strategica in crescendo con almeno quattro potente revisioniste implicitamente allineate: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. Tutti questi paesi hanno l’interesse a sfidare l’ordine mondiale che fa capo agli Usa, e il 2020 potrebbe essere un anno cruciale per loro, per le elezioni presidenziali Usa e i cambiamenti potenziali nelle politiche Usa che potrebbero seguire”.
I Cigni bianchi di Roubini, così come si sono già presentati a inizio 2020, sono i seguenti:
- Una probabile escalation del confronto militare tra Stati Uniti e Iran (a causa dell’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani.
- Il rischio che l’esplosione virale (coronavirus) in Cina si trasformi in una pandemia globale.
- La guerra cibernetica.
- La decisione dei principali detentori di Treasuries Usa (dunque di debito Usa) di adottare strategie di diversificazione
- Le primarie democratiche negli Stati Uniti, che stanno mostrando crepe nell’opposizione a Trump, lasciando serpeggiare anche il dubbio sul conteggio dei voti.
- L’escalation delle rivalità tra gli Stati Uniti e le quattro potenze revisioniste.
- L’aumento dei costi reali dei cambiamenti climatici e altri sviluppi che hanno un impatto sull’ambiente”.
In particolare, sulle tensioni tra Washington e Teheran, Roubini scrive nell’articolo pubblicato su Project Syndicate che “la grande minaccia che Donald Trump rappresenta per il regime iraniano dà ogni ragione per credere in una escalation del conflitto (tra gli Usa e l’Iran) nei prossimi mesi, anche nel rischio di una vera e propria guerra“.
In questo caso, “il balzo dei prezzi del petrolio farebbe fare crash al mercato azionario Usa, scatenare una recessione e affondare la prospettiva di una rielezione di Trump. Certo, la view del consensus è che l’uccisione di Qassem Soleimani abbia frenato l’Iran, ma questa opinione fraintende gli incentivi perversi del regime“.
Di conseguenza, “una guerra tra Stati Uniti e Iran potrebbe scoppiare quest’anno, e la quiete attuale sarebbe del tipo di quelle che si manifestano prima delle proverbiali tempeste“.
Tra i Cigni bianchi di Roubini non può mancare ovviamente l’escalation delle tensioni tra la Cina e gli Stati Uniti, a dispetto dell’intesa sulla Fase 1 di un eventuale accordo commerciale più completo, firmata lo scorso 15 gennaio.
“Un regime e una economia cinesi gravemente danneggiate dalla crisi del COVID-19 (la malattia scatenata dal coronavirus) avranno bisogno di un capro espiatorio esterno, e questa necessità potrebbe generare un’escalation degli incidenti militari”. Pechino “potrebbe anche adottare una ‘opzione nucleare’ finanziaria, scaricando i titoli di stato americani che detiene (i Treasuries Usa), nel caso di una escalation (delle tensioni)”.
La “Cina potrebbe diversificare le sue riserve convertendole in un altro asset liquido meno vulnerabile alle sanzioni Usa, esattamente in oro. Di fatto – fa notare Roubini – sia la Cina che la Russia continuano ad accumulare riserve di oro, fattore che spiega il balzo dei prezzi (del metallo giallo) pari a +30% dall’inizio del 2019. In uno scenario di sell off , i guadagni in conto capitale sull’oro compenserebbero ogni perdita sofferta a causa delle vendite di Treasuries Usa, i cui rendimenti salirebbero a fronte del calo dei loro prezzi di mercato e dei loro valori”.
C’è da dire che, “finora, la conversione della Cina e della Russia in oro è avvenuta in modo lento, senza ripercussioni sui tassi dei Treasuries. Ma, nel caso in cui tale diversificazione dovesse accelerare il passo, così come è probabile, ci potrebbe essere uno shock nel mercato dei Treasuries Usa, che potrebbe provocare un forte rallentamento economico negli Stati Uniti”.