Cer, Italia fanalino di coda in Europa
Italia bocciata dal Centre for european reform (Cer) che la relega al ventunesimo posto in Europa. Insomma, ancora una volta il Belpaese è “gettato” tra i cattivi e la conferma questa volta è arrivata nelle 120 pagine del rapporto del centro europeo dedicato alla realizzazione da parte dei singoli stati dell’Unione europea della strategia di Lisbona, vale a dire un piano messo nero su bianco nel 2000 e incentrato sulla realizzazione di obiettivi concreti, da realizzare entro il 2010 come il raggiungimento di un tasso medio di crescita economica del 3% circa; portare il tasso di occupazione al 70% e infine, far arrivare il tasso di occupazione femminile al 60%. Un rapporto presentato dal viceministro, Francesco Rutelli e dal ministro per gli Affari Regionali, Linda Lanzillotta, che hanno colto l’occasione per riparlare del rilancio del decreto legge (ddl) sulle privatizzazioni.
L’eurobarometro ancora una volta relega l’Italia nella posizioni più basse: in ben sei dei tredici indicatoti la nostra Penisola fa da fanalino di coda, dunque. Un risultato deludente che brucia ancora di più se sommato al “no” secco della tabella riassuntiva “Lisbon Ligue 2006” dal tema “Chi si avvicina di più agli obiettivi Ue di Lisbona” che mette Roma al ventunesimo posto su ventisette, in risalita rispetto al 2005 ma di sole due posizioni e grazie soprattutto alla battuta d’arresto della Grecia e della Slovaccia.
Ma chi la fa da padrona nel Vecchio continente? La classifica del Cer è dominata dai Paesi del Nord. In testa, infatti, troviamo la Danimarca seguita dalla Svezia e dall’Olanda. Ma sono soprattutto i primi due stati che hanno registrato le migliori performance su più fronti: quello occupazione, dell’equità sociale, della formazione, della tutela dell’ambiente e anche della ricerca e sviluppo. Tengono un buon passo sia il Paese dei tulipani sia la Gran Bretagna. A metà classifica, la sorpresa c’è e si chiama Repubblica Ceca che tra i nuovi paesi dell’Ue ha conquistato il decimo posto grazie principalmente alla spesa in ricerca superiore a quella nostrana.
E il rapporto del Cer non è andato per il sottile con l’Italia. secondo gli analisti che hanno redatto il documento, il Belpaese deve darsi maggiormente da fare se non vuole andare incontro a un declino della prosperità. Il problema di fondo continuano a spiegare dal Cer consiste soprattutto nella carenza di produttività che riflette la scarsa capacità di innovazione. Insomma, per un’economia in cui il settore manifatturiero è ben sviluppato è impensabile un investimento in ricerca e sviluppo apri all’1,1% del Prodotto interno lordo (Pil). Anche la “felicità” è sotto la media nel Belpaese: solo 84% degli italiani si dichiara felice contro la percentuale europea che si aggira introno all’87%.
Nonostante sia tanto discusso in Italia, una delle poche note positive per il nostro Paese arriva dalla volontà del Governo di aumentare la penetrazione tecnologica e al tempo stesso la concorrenza con appunto il decreto sulle Liberalizzazioni del ministro per lo Sviluppo Economico, Pieluigi Bersani.