Cathie Wood paga collasso hi-tech: il suo ETF Ark Innovation non batte più lo S&P 500
Quei guadagni straordinari che hanno trasformato Cathie Wood in una star del mondo della finanza e della gestione attiva dei fondi stanno evaporando, e in maniera anche veloce, a causa del pesante sell off che sta colpendo Wall Street, in particolar modo i titoli hi-tech su cui il suo fondo di punta ARK Innovation ETF punta da anni (come i titoli Tesla di Elon Musk).
Dopo anni in cui ha battuto i mercati con guadagni da capogiro, Wood si conferma tra le vittime illustri del recente bagno di sangue , tra l’altro a pochi giorni di distanza dall’attacco sferrato dalla manager contro la gestione passiva degli investimenti.
Il suo ETF è vicino infatti ad azzerare tutto il vantaggio storico – praticamente la sovraperformance – rispetto al trend dell’indice S&P 500 che lo ha reso celebre, anche se occorre fare una precisazione: Bloomberg fa notare in un suo articolo che il valore netto degli asset dell’ETF risulta tuttora in crescita, pari a $45,59 (in base alle rilevazioni di venerdì scorso), rispetto ai $20,12 dell’ultima settimana dell’ottobre del 2014, quando il fondo venne lanciato. E questo significa che il guadagno è stato pari a + 127% dal momento del suo esordio.
Detto questo, nello stesso periodo di tempo i ritorni dell’indice S&P 500, sempre in base ai dati di Bloomberg, sono stati superiori, pari a +136%.
La situazione è peggiorata nella sessione di ieri, con l’ETF ARK Innovation precipitato di quasi -10%, rispetto al -3% dell’indice benchmark.
Wood non ha risposto al momento a una richiesta di commenti arrivata da Bloomberg.
Stella Wood oscurata da tempesta perfetta ETF ARK Innovation?
L’agenzia americana parla di tempesta perfetta per il fondo, in un contesto in cui il balzo dei tassi dei Treasuries e le speculazioni su una Fed costretta a essere più restrittiva a causa della fiammata dell’inflazione hanno portato gli investitori a smobilizzare soprattutto le azioni growth, ovvero le azioni tecnologiche su cui Wood ha praticamente costruito il suo successo.
Il risultato è che il fondo ARK Innovation è affondato di quasi -70% dal picco dell’anno scorso, anche se c’è da dire che non tutti i fondi di Wood hanno perso il vantaggio sullo S&P 500: l’ETF più piccolo, ovvero l’ARK Next Generation Internet ETF, continua di fatto a riportare una performance migliore di quella del listino azionario, anche se è crollato dai suoi valori record.
I recenti smobilizzi non sembrano aver fatto cambiare idea a Wood che, nei suoi post recenti su Twitter, ha scritto di ritenere che l’economia globale stia attraversando il periodo di trasformazione più imponente della sua storia, e che società come Zoom Video Communications e Microsoft Corp presentino grandi potenziali di crescita.
Eppure diversi sono i segnali che indicano come i fondi di Cathie Wood siano a un bivio. E’ la storia a parlare: al momento della sua nascita nel 204, il fondo ARK Innovation ETF riuscì a catalizzare flussi in entrata per un valore cumulativo di $16,8 miliardi.
La maggior parte di quei flussi in entrata non è stata impiegata in opportunità di investimento redditiie, con Morningstar Research che calcola come, sebbene il fondo sia in rialzo del 4% in media l’anno, ogni dollaro investito abbia perso in media il 33% circa.
tal proposito vale la pena attingere a un editoriale di Bloomberg firmato da Marc Rubinstein che ricorda come, se è vero che investire è difficile, gestire un investimento lo è ancora di più, in quanto richiede di riuscire a trovare un euilibrio tra due controparti: da un lato il capitale che è stato investito e dall’altro il portafoglio di investimenti.
Nella maggior parte dei casi, le due parti vanno a braccetto. Soprattutto nel mercato toro degli ultimi dieci anni, ad alimentare il successo di diverse società di gestione degli investimenti è stata una semplice dinamica: i soldi arrivavano, venivano investiti in alcuni asset, i mercati salivano e nei fondi arrivavano più soldi.
Ma non sempre questo euilibrio è assicurato, e certo non sono di aiuto i modelli di fatturato delle società di gestione, che sono orientati più verso il lato del capitale che verso quello degli investimenti. Le società di gestione vengono pagate, inftti, in base al valore totale degli AuM, ovvero degli asset gestiti, il che significa che le stesse sono incentivate a veder crescere il capitale da investire, a prescindere dalle condiioni di mercato.
I problemi si manifestano nel momento in cui un cambiamento che si verifica sui mercati riduce le opportunità di investimento, dopo un periodo in cui i fondi hanno assistito una continua iniezione di capitali. E’ quello che si sta verificando in uesto momento.
Un esempio illustre è rappresentato da Mercury Asset Management, un tempo la società di gestione di investimenti più grande e importante del Regno Unito, del cui team, ricorda Paul Marshall, ex dipendente che poi ha fondato l’hedge fund Marshall Wace, “facevano parte molti gestori di fondi di talento eccezionale”.
Il punto è che il gruppo diventò “troppo grande per il mercato, e alla fine, nel 1998, saltò in aria del tutto.
Storia simile, ma non con esito altrettnto negtivo, quella di Janus Capital Management, che crollò nel momento in cui la bolla dot-com esplose nel 2000.
Negli anni precedenti, il gruppo colosso del risparmio gestito aveva visto crescere gli asset a un valore di $330 miliardi, grazie all’arrivo di quantità enormi di capitali in entrata che, a un certo punto, erano pari a 1 miliardo di dollari al giorno.
Quando il mercato cambiò, il valore dei fondi Janus capitolò di oltre -60%. E questo per lo stesso motivo, ovvero perchè il fondo era stato strutturato per guadagnare più con la crescita dei suoi asset che con le opportunità di investimento trovate.
Lo stipendio dei manager dipendeva più dalla dimensione del fondo che dalle opportunità di investimento, e alla fine i dirigenti furono costretti ad ammettere che c’erano fin troppi analisti, che coprivano una quantità decisamente risicata di azioni.
Il ceo di Apollo Marc Rowan ha riconosciuto il problema dell‘industria del risparmio gestito, commentando in un’intervista rilasciata a Bloomberg che la capacità di far crescere gli AuM al fine di mantenere la promessa di ritorni in eccesso implica che i flussi di capitale in entrata devono crescere alla stessa velocità con cui crescono gli asset investiti.
Rowan ha ammesso che l’equilibrio si può rompere nel momento in cui si sta raccogliendo troppo capitale, fattore che può essere nel brevissimo termine anche molto positivo, ma che alla lunga non lo è per il business.
E la differenza tra il trend dell’ETF e il trend del dollaro investito (negativo) mette in piena luce cosa è andato storto nel business di Cathie Wood.
In questo caso, il problema si è manifestato, di fatto, in quanto il cambiamento avvenuto sui mercati – ovvero l’improvvisa avversione al rischio – ha ridotto le opportunità di investimento dopo un periodo in cui il capitale in entrata era cresciuto fin troppo: senza trovare la giusta destinazione, in quanto nel frattempo quelle opportunità che si erano presentate due anni prima non erano ormai più tali.