BRI, banche più rischiose non in Italia, Grecia o Germania. La sorpresa nel nuovo report
Le banche più rischiose del mondo non sono nè quelle cinesi, nè quelle greche, né le italiane o tanto meno le tedesche, nonostante il recente annuncio di Deutsche Bank di un maxi aumento di capitale abbia acuito i timori anche sul sistema finanziario della Germania. La sorpresa arriva da un nuovo report della Banca per i regolamenti internazionali, nota anche come banca delle banche centrali.
L’istituto ha usato diversi parametri per arrivare a fare una classifica degli istituti di credito più a rischio, e ha guardato anche ai flussi finanziari globali. La BIS (da Bank for International Settlements, ovvero Banca dei Regolamenti internazionali) ha utilizzato, nella determinazione delle banche più rischiose, quattro distinti elementi di rischio che possono essere definiti come quei quattro indicatori capaci di individuare gli esordi di una crisi finanziaria: 1) Il gap credito-Pil, ovvero la differenza dell’attuale ratio rispetto al trend di lungo termine; 2) il Property price Gap, ovvero la deviazione dei prezzi immobiliari residenziali rispetto al trend di lungo termine. 3) Il DSR, ovvero il Debt Service Ratio, che rappresenta anch’esso la deviazione rispetto al trend di lungo termine, partendo dall’assunto secondo cui il “debt Service” è la liquidità necessaria per ripagare il capitale e gli interessi in un determinato periodo di tempo 4) e, alla fine, il DRS partendo dal presupposto di un aumento del 2,50% dei tassi di interesse.
In questo modo, la Banca delle banche centrali ha misurato praticamente il trend del credito e dei prezzi immobiliari rispetto al Pil e, anche, la capacità di onorare i debiti, in caso di una stretta sui tassi.
Ne è emerso che lo scarto del credito nei confronti del Pil è rimasto elevato al 26,3% in Cina e che un gruppo di nazioni asiatiche ha assistito a un aumento del credit gap dal settembre del 2016. La dimensione del Property Price gap (seconda colonna) è rimasta in linea con i trend storici in diversi paesi, a eccezione del Canada, della Germania, della Grecia, del Giappone, del Portogallo e di un gruppo di paesi dell’Europa centrale e orientale, che assistono a gap relativamente alti. Detto questo, un numero elevato non indica necessariamente un’accelerazione nella crescita dei prezzi: nel caso di Grecia, Giappone e Portogallo, l’elevato Property Price Gap non segnala così necessariamente la presenza di vulnerabilità, visto che l’aumento è piuttosto legato al fatto che i prezzi stanno tornando a un livello normale, dopo lunghe fasi di ribassi.
Le ultime due colonne della Tabella numero uno presentano due misure alternative dei ratio sul Debt Service, che puntano a individuare il valore aggregato dei pagamenti degli interessi e del capitale, in relazione agli utili del settore non finanziario.
Nella maggior parte dei casi, come si vede nella terza colonna, i ratio risultano accettabili, in un contesto in cui i tassi di interesse rimangono ai livelli attuali. In condizioni invece di maggiore stress – come un aumento dei tassi di 250 punti base -, i numeri indicano rischi potenziali in Canada, Cina e Turchia (quarta colonna). Anche in questo caso, tuttavia, si parla di indicazioni e non di risultati di eventuali stress test, visto che l’adozione di una manovra di politica monetaria restrittiva impiegherebbe tempo per tradursi in costi più elevati di rimborso dei debiti.
La Tabella di cui sotto fa un sommario degli indicatori che lasciano prevedere eventuali crisi nei sistemi finanziari nazionali, e che sono stati prodotti dalla Banca delle banche centrali per la maggior parte dei paesi, fino al terzo trimestre del 2016.
E qui arriva la sorpresa: il paese che presenta tre dei quattro indicatori capaci di lanciare un alert iniziale sull’avverarsi di una crisi finanziaria non è né la Cina, né la Grecia, né l’Italia o la Germania. Ma il Canada.