Black Box: Bernanke, Paulson e il gioco dello Shanghai
E’ un po’ come giocare a Shanghai. Bisogna stare attenti a quale bastoncino si muove e a come lo si muove altrimenti il rischio è di far tremare tutta la catasta. Se poi il monticello di bastoncini è intricato come lo scenario economico-finanziario attuale si può ben capire quanto possa essere disorientato chi si trova a dover muovere: vedi alla lettera B, come Bernanke o alla P come Paulson. L’ultima mossa concertata dalla Federal Reserve e dal Tesoro Usa, il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari, sembrava poter essere la medicina giusta per dare fiato alle Borse mondiali e stabilizzare le condizioni del sistema finanziario americano. La convinzione è però durata poco e già ieri Wall Street ha cambiato umore tornando a far segnare cali nell’ordine dei 3 punti percentuali per il Dow Jones e dei 4 per il Nasdaq. Oltre ai dubbi del mercato sulla effettiva efficacia del piano che potrebbe non essere sufficiente, il clima che si respira al di là dell’Oceano è di cupa depressione, per non dire recessione.
Il “salva-tutti” è infatti un peso rilevante sul già importante debito pubblico statunitense, quello che un paio di anni fa terrorizzava i mercati (deficit gemelli), un peso che tra l’altro si aggiunge alle conseguenze difficilmente determinabili del salvataggio di Aig, di Fannie Mae e di Freddie Mac. Sono tutti soldi che escono dalle tasche del contribuente americano. Hanno voglia i due candidati alla poltrona ora occupata da George W. Bush di promettere riduzioni nel prelievo fiscale. Nei prossimi anni gli Stati Uniti sconteranno le rate del gigantesco mutuo firmato per salvare un sistema sull’orlo del collasso.
Quindi, se si muove il bastoncino della crisi degli istituti finanziari, si muovono in serie quelli del deficit, del rendimento dei titoli di stato, salito ieri al 3,89%, del dollaro in ritirata contro le altre valute, dei mercati azionari che scontano nuove revisioni al ribasso delle attese di utile. E se a ciò si aggiunge l’aria da “fine di un epoca” che si respira a Wall Street, con le grandi banche d’affari messe al muro e costrette a cambiare modello di business (quelle che sono sopravvissute) e con i Giapponesi alle porte (Nomura e Mitsubishi Ufj), la voglia di sorridere è ancora meno.
E a poco sembra essere servito anche il provvedimento anti-short preso dalla Security and Exchange Commission, se non a dirottare i flussi di capitale più speculativi sul vecchio amore, le materie prime, con grande angoscia del consumatore americano che sente il rombo dell’inflazione che scalda i motori. Poco male, almeno la Federal Reserve non potrà tagliare i tassi di interesse, il dollaro ritornerà a stabilizzarsi e lentamente il grande gioco dell’economia ricomincerà a girare, molto più lentamente e a un livello inferiore rispetto a quanto ci si era abituati.