Bank of England: senza accordo Brexit stabilità finanziaria Europa a rischio. Tonfo sterlina fino a $1,10?
C’è l’inflazione, che è salita al record in cinque anni e mezzo. E c’è, sempre più pressante, il rischio che il Regno Unito e l’Ue non riescano a trovare un accordo sulla Brexit: il rischio di un “no-deal”, come la stampa anglosassone sta scrivendo con maggiore insistenza da qualche ora.
Il viaggio con destinazione di Bruxelles di Theresa May non è andato a buon fine: la premier britannica non è riuscita a sbloccare le trattative, e ora i funzionari dell’Unione europea sono proiettati a dicembre per far ripartire i negoziati sul futuro delle relazioni tra le controparti nel post Brexit.
Ciò significa che, in occasione della riunione dei leader europei, che si incontreranno giovedì e venerdì sempre a Bruxelles, la frase tanto agognata dall’Ue e il Regno Unito, sul raggiungimento di “progressi sufficienti” nelle trattative, non ci sarà.
“Entrambe le parti concordano sul fatto che le discussioni continuano nell’ambito dell’accordo di massima tra l’Ue e il Regno Unito – recita il comunicato diramato a seguito della cena tra May e Jean-Claude Juncker, numero uno della Commissione Ue – (sia May che Juncker) hanno riesaminato i passi in avanti compiuti nei negoziati sull’Articolo 50 e si sono trovati d’accordo nel ritenere che questi sforzi dovrebbero accelerare nei prossimi mesi”.
Si fa così più concreta la minaccia paventata nella giornata di ieri, quando Bloomberg ha riportato che, tra i membri del governo di Theresa May, si sta insinuando il timore di una catastrofica rottura dei negoziati e, in definitiva, di un mancato accordo.
Su questo punto si è soffermato oggi il numero uno della Bank of England, Mark Carney, avvertendo che “un mancato accordo sulla Brexit” rappresenta una minaccia alla stabilità finanziaria dell’Europa intera.
“L’impatto sull’intera economia sarebbe maggiore per il Regno Unito – ha sottolineato Carney – ma le conseguenze sulla stabilità finanziaria sarebbero più pesanti per l’Ue, nel breve termine”.
In tutto questo esplode anche un botta e risposta tra il Tesoro UK e l’Ocse, agenzia con sede a Parigi. In mattinata il think tank afferma che l’economia britannica sarebbe sostenuta da una eventuale decisione del paese di non concretizzare più la Brexit. E che, nelle condizioni attuali, la crescita è destinata a rallentare nel 2018, a fronte di un calo degli investimenti aziendali. Il Tesoro ribatte prontamente, affermando che il Regno Unito continuerà a percorrere la strada della Brexit:
“Stiamo lasciando l’Ue e non ci sarà un secondo referendum”.
Intanto Carney fa chiaramente capire che con un tasso di inflazione superiore al 3%, il Regno Unito arrivederebbe a un punto di non ritorno, in corrispondenza del quale “sarebbe necessario o giustificato rimuovere parte degli stimoli” monetari, come dice la sua collega della Commissione di politica monetaria, Silvana Tenreyro.
Carney ritiene tra l’altro che la flessione della sterlina dal voto sulla Brexit induce a prevedere che l’inflazione salirà probabilmente oltre il 3% “nelle prossime settimane”.
D’altronde, “avevamo previso che la sterlina (con la Brexit) sarebbe scesa molto. Così è stato. E ciò è stato incorporato nei prezzi…l’unica ragione per cui l’inflazione è salita così tanto è per il deprezzamento della sterlina”.
Deprezzamento che, complici i timori sul futuro non solo dell’economia UK ma anche della Brexit, prosegue nella giornata di oggi.
Il rapporto sterlina-dollaro buca la soglia di $1,32, cedendo alle 15 ora italiana più di mezzo punto percentuale.
E lo scenario del “no-deal” ha portato già gli analisti di colossi del calibro di Morgan Stanley, Mizuho Bank Ltd. e Nomura International a prevedere uno scivolone della valuta fino a $1,10-$1,11, nel caso in cui i negoziati dovessero collassare.
Un rischio che al momento Jane Foley, responsabile della strategia sul forex per Rabobank, calcola al 30%. Anche se poi lo scenario di base è per una stabilizzazione della sterlina, nei prossimi tre mesi, attorno a $1,32.
Il mix tensioni Brexit-aspettative di un rialzo dei tassi da parte della Bank of England inizia a essere scontato anche dai Gilts.
Basti pensare che i tassi sui titoli di Stato britannici sono balzati di 40 punti base dall’inizio di settembre.
L’outlook, per i consumatori britannici, non è affatto confortante soprattutto se si considera che, a fronte del +3% dell’indice dei prezzi al consumo a settembre – dato diffuso oggi e al massimo dall’inizio del 2012 – i salari dei lavoratori, sono saliti, in media, soltanto del 2,1% su base annua, nei tre mesi terminati a luglio.