Banche venete nel mirino di Dbrs e rumor Intesa SanPaolo. Mentre oltre 100 istituti sono a rischio crac
Banche venete sotto la lente di DBRS. L’agenzia di rating canadese ha messo sotto osservazione con implicazioni negative i rating di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza.
Nel caso di Popolare di Vicenza, da segnalare che i rating a breve e lungo termine assegnati da DBRS – quelli con implicazioni negative – sono rispettivamente pari a R-4 e B (high), mentre la valutazione sui bond garantiti dallo Stato è stata confermata a BBB (high) con outlook stabile. DBRS ha motivato la decisione di mettere in “negative watch” i rating parlando di rischi maggiori per gli obbligazionisti senior (i bond subordinati non vengono monitorati dall’agenzia), sulla scia delle condizioni in cui versa l’istituto, che giorni fa ha reso nota l’intenzione di seguire la strada della ricapitalizzazione precauzionale, come Mps e l’altra banca veneta Veneto Banca.
Nel caso di quest’ultima, DBRS ha messo sotto osservazione con implicazioni negative i rating a breve termine R-4 (confermato), mentre ha modificato il rating a lungo termine a B (high) da BB (low). Anche in questo caso è stata confermata la valutazione, a BBB+ con trend stabile, sulle obbligazioni con garanzia statale.
Anche oggi le banche italiane sono attentamente monitorate, sia per i ribassi dei titoli a Piazza Affari- in un contesto in cui l’azionario viene travolto dal flop di Trump sulla riforma sanitaria, sia per le ultime indiscrezioni che sono trapelate nel fine settimana dalla stampa, in particolare da alcuni articoli de Il Sole 24 Ore.
Fari puntati su Intesa SanPaolo, dopo che il quotidiano finanziario ha riportato le indiscrezioni su un piano della banca per smaltire i crediti deteriorati: un piano ambizioso, del valore di 15 miliardi di euro, con cui Intesa avrebbe intenzione di ridurre la quota degli NPL sul valore totale dei crediti dal 14,7% al 10,5%. Secondo Il Sole 24 Ore, proprio domani sarebbe in programma un cda della banca, al fine di valutare il piano.
Il nodo dei crediti deteriorati continua ad affliggere il sistema bancario italiano.
Ma le vittime non sono solo quelle note e dai nomi altisonanti che fanno la cronaca di quasi ogni giorno. Esiste infatti una galassia di banche anche meno conosciute: quelle 114 banche italiane che, come ha scritto Fabio Pavesi nell’articolo de Il Sole pubblicato nel fine settimana, nel 2015 avevano incagli e sofferenze oltre il capitale. Le 114 banche sono visibili in una tabella, dove compaiono anche i nomi di Veneto Banca, Banca Carige, MPS, Ubi Banca, Credito Valtellinese. Ma dove si leggono anche nomi meno noti come la C. Risparmio Cesena, la BCC Area Pratese, la Cassa di Risparmio di Saluzzo, la BCC Colli Euganei, la banca di credito cooperativo di Teramo che, si legge nell’articolo, “non ce l’ha fatta. Crollata sotto il peso abnorme delle sofferenze e degli incagli è stata salvata, l’estate scorsa, dalla consorella, la Bcc di Castiglione Messer Raimondo e Pianella che l’ha rilevata non senza l’aiuto del Fondo di Garanzia delle Bcc”.
Non proprio uno choc, continua l’articolo, visto che “da tempo l’istituto “spiccava in cima alla lista delle banche italiane con il più alto tasso di NPL in rapporto al patrimonio (..) i crediti malati netti (dopo quindi le svalutazioni con perdite già effettuate) erano arrivati a valere quasi 8 volte il capitale della banca“, con un rapporto tra crediti deteriorati netti e patrimonio tangibile oltre il 777%.
I dati si riferiscono ai bilanci del 2015 e sono stati raccolti da R&S Mediobanca: Pavesi scrive che “in quelle 114 banche (per lo più Bcc e casse rurali) gli Npl netti superano il valore del patrimonio netto tangibile”, ricordando come quell’indice sia il Texas ratio.
“Quando si supera il 100%, la banca scricchiola e occorre intervenire pena grossi guai”. L’articolo ricorda come un modo sia quello di avviare una operazione di ricapitalizzazione; ma c’è anche l’opzione della vendita a una banca più sana oppure la cessione dei crediti deteriorati, tuttavia “sapendo che la loro cessione libererà il bilancio, a spese però di nuove maxi perdite”.
Quei crediti deteriorati infatti saranno venduti a valori decisamente inferiori rispetto a quelli che avevano al momento dell’erogazione. Ovvero: buona parte di quei prestiti, comunque, l’istituto non la rivedrà mai più.
Si può anche, nel caso delle Bcc, “fare appello al Fondo Consortile di garanzia e nel caso delle Spa la stampella pubblica come capitato a Mps e alle due ex popolari venete che figurano appunto tra le prime nell’elenco delle 114 banche a rischio default, dato il peso insostenibile dei crediti non rimborsati.
Tra gli altri nomi, ci sono Hypo Alpe-Adra-Bank (174,6% il rapporto tra crediti deteriorati netti e patrimonio tangibile), Ubi Banca (117,8%), Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza (101,2%), Bcc di Cagliari (159%).
La domanda è d’obbligo: che cosa succederà ai correntisti di queste banche? L’articolo ricorda come pochi giorni fa il Fondo interbancario di tutela dei depositi abbia reso noto che “non intende partecipare alla ricapitalizzazione né di Cesena e neppure della Cassa di Rimini e di quella di San Miniato, altre due sorvegliate speciali da tempo. Il Fondo è solo disponibile a partecipare al deconsolidamento degli Npl, ma non intende mettere nuovo capitale”.
Pavesi parla di una “spirale perversa”: “più hai masse di crediti inesigibili, più devi mettere in conto perdite”, che poi divorano il capitale, con il risultato che “lo stock di sofferenze finisce per aumentare, anziché diminuire”. La crisi di fiducia è conclamata, con gli azionisti che risultano assenti all’appello per l’iniezione di nuovi capitali, con il titolo che imbocca il trend ribassista e, alla fine, con la fuga, anche, dei depositi, “con i clienti-soci che spostano i loro risparmi in banche più affidabili”.