Bagno di sangue a Wall Street, Dow Jones crolla -370 punti. Panico Trump gela mercati
Bagno di sangue a Wall Street, ma non solo. Sull’azionario globale, improvvisamente, il vento sembra essere cambiato, come dimostra anche il termometro della paura degli investitori, il VIX, schizzato verso l’alto, a testimonianza dei timori che stanno attanagliando gli investitori.
L’indice è volato di oltre +46% a 15,59 punti, mettendo a segno il rialzo più forte su base giornaliera rispetto al periodo immediatamente successivo alla Brexit. E l’altro indice short-term Vix è volato di ben +115%. Di seguito la tabella che rivela il trend dei principali indiici che monitorano la volatilità sui mercati.
DoweIl Dow Jones ha concluso la sessione cedendo più di 370 punti e soffrendo la sessione peggiore in otto mesi. Lo S&P 500 ha ceduto l’1,8%, zavorrato soprattutto dai titoli finanziari, che hanno perso il 3,1% e hanno riportato in termini percentuali la flessione più sostenuta dallo scorso 24 giugno, quando l’SPDR S&P Bank ETF (KBE) scese del 3,9%.
Anche per lo S&P, quella di ieri è stata la sessione peggiore da settembre, mentre il Nasdaq Composite, con un ribasso del 2,6%, ha riportato la seduta peggiore dallo scorso 24 giugno.
Le pressioni su Trump si intensificano: dopo gli scandali degli ultimi giorni, secondo cui non solo Trump avrebbe fornito informazioni riservate di intelligence alla controparte russa, ma avrebbe anche, in precedenza, fatto pressioni sull’ex direttore dell’Fbi James Comey (ex in quanto licenziato da lui giorni fa) perchè lasciasse cadere l’indagine sull’ex consigliere alla Sicurezza Michael Flynn (anche lui dimessosi all’inizio dell’amministrazione Trump) e sui suoi rapporti con la Russia, la notizia delle ultime ore è la nomina, da parte del dipartimento di Giustizia Usa dell’ex capo dell’FBI Robert Mueller, a responsabile dell’inchiesta sul Russia-gate.
Tornando ai mercati, la corsa agli asset ritenuti più sicuri ha provocato il calo dei rendimenti decennali dei Treasuries più forte dallo scorso luglio, al 2,22% – minimo dal 19 aprile scorso – e lo spread tra tassi a 10 e due anni si è ridotto al massimo dal periodo precedente l’Election Day.
Vendite anche sul dollaro, che è tornato ai livelli dallo scorso novembre, mentre l’azionario dei mercati emergenti ha interrotto un rally che durava da sette giorni.
I futures sull’oro hanno proseguito la loro fase rialzista per la sesta sessione consecutiva, e il contratto spot è salito +1,9%, attestandosi al record in due settimane, a $1.260,38 l’oncia.
Effetto domino di Wall Street anche sui mercati azionari europei, con l’indice di riferimento Stoxx Europe 600 che ha chiuso anch’esso la seduta peggiore in otto mesi, ovvero dallo scorso settembre. Travolte dai sell soprattutto le banche.
Oggi, in avvio di seduta, il Ftse Mib di Piazza Affari fa subito dietrofront, e osservata speciale è FCA, dopo l’apertura di una procedura di infrazione dell’Ue contro l’Italia, per non aver gestito a dovere il caso relativo allo scandalo delle emissioni. Il titolo scivola di oltre -5%
L’ondata ribassista non ha risparmiato i listini asiatici, che hanno scontato soprattutto il balzo dello yen nei confronti del dollaro, con il cambio usd-jpy arrivato a scivolare di ben il 2%, segnando il calo, su base percentuale, più forte dal luglio del 2016, e arrivando a JPY 110,95.
Il dollaro ha poi recuperato terreno nelle contrattazioni asiatiche, fino a JPY 111 circa. Non è bastato a evitare gli smobilizzi sui titoli delle aziende esportatrici giapponesi, con Mitsubishi Motors che ha ceduto -3%, Mazda Motor -2,23% e Honda -2,23%.
L’indice Nikkei Stock Average della borsa di Tokyo ha così concluso la sessione odierna perdendo l’1,39%, mentre Sidney ha chiuso giù di oltre -1%.
Le vendite sul dollaro hanno avvantaggiato di nuovo l’euro, che ieri è salito fino a $1,1152, al valore più alto dallo scorso 4 novembre.
Intervistato da Marketwatch Zhu Huani, economista presso Mizuho Bank a Singapore, ha commentato il trend, affermando che “i mercati stanno iniziando a scontare il notevole ritardo nel piano di riforma fiscale promesso da Trump”.
E, di fatto, se si pensa che prima della carrellata degli scandali che hanno travolto la Casa Bianca, i mercati azionari avevano messo il turbo scommettendo sull’arrivo di un maxi taglio delle tasse a favore di aziende e famiglie da parte della nuova amministrazione, si comprende ora tutta la delusione per lo stallo al Congresso delle riforme, con i parlamentari che stanno valutando, piuttosto, l’opzione di avviare una procedura di impeachment contro il presidente.
Procedura che manderebbe all’aria tutte le promesse di Trump, in primis quella del bazooka fiscale, insieme alle aspettative di una crescita più vigorosa sia del Pil che dell’inflazione. E ciò avrebbe non poche ripercussioni sulla politica monetaria della Fed, tanto che ora le probabilità di un rialzo dei tassi a giugno sono scese attorno al 60%, mentre le scommesse su una stretta monetaria successiva si sono spostate da settembre a novembre).