Notizie Notizie Mondo Ascesa del populismo e mercati: l’inflazione è il tema più importante

Ascesa del populismo e mercati: l’inflazione è il tema più importante

20 Febbraio 2017 10:01
 
 
 
Uno dei temi chiave del populismo consiste nel riprendere il controllo dei rapporti economici e volgerli a vantaggio dei cittadini. Ma qual è la conseguenza sui mercati di questo processo? “Sono tante, dal cambiamento dei rapporti della bilancia commerciale, al ritiro dalle organizzazioni sovranazionali e multinazionali, dallo smantellamento delle norme considerate a vantaggio dell’élite fino all’utilizzo della politica monetaria per ragioni puramente interne”, spiega Chris Iggo, Chief Investment Officer Obbligazionario di AXA Investment Managers. Che aggiunge: “In altre parole il populismo tende a interrompere i rapporti che hanno definito l’ordine economico mondiale negli ultimi decenni, le cui mancanze sono state portate alla luce dalla grande crisi finanziaria. Dunque non guardiamo alle elezioni europee, a Trump e ai negoziati per la Brexit come a meri rischi politici: ci sono infatti profonde implicazioni per la crescita, i tassi di interesse e le imprese”.
 
 
I possibili sviluppi sul mercato
 
 
In uno scenario che tende progressivamente verso politiche che privilegiano il nazionalismo alla globalizzazione, che mettono in discussione l’indipendenza delle Banche centrali e che usano la politica fiscale in modo più aggressivo rispetto al passato per ridurre le imposte e finanziare grandi progetti, Iggo indica quali sono le implicazioni per i mercati: rendimenti obbligazionari più alti e curve dei rendimenti più ripide, aumento della volatilità degli spread cross-market laddove i Paesi con un deficit delle partite correnti restano indietro rispetto ai Paesi con un avanzo di bilancio, volatilità dei cambi (“dato che la svalutazione competitiva deriva dal desiderio di ottimizzare le ragioni di scambio in un regime caratterizzato da dazi più elevati”), incremento generalizzato dell’inflazione, sottoperformance delle multinazionali rispetto alle aziende locali, sottoperformance dei Mercati Emergenti (in particolare dei Paesi deficitari o di quelli in cui gli scambi con l’estero rappresentano una percentuale elevata del Pil), sovraperformance dei settori collegati alle costruzioni, sottoperformance della tecnologia (soprattutto se c’è resistenza a sostituire i lavori manuali con i robot), sottoperformance delle imprese che operano nel settore dei viaggi, ampliamento degli spread delle obbligazioni dei Paesi periferici in Europa, emittenti di titoli high yield che potrebbero risentire delle riforme sulla deducibilità degli interessi passivi.
 
 
Poca chiarezza per le obbligazioni
 
 
Secondo lo strategist di Axa gli sviluppi maggiori arriveranno laddove ci si allontanerà di più dagli attuali rapporti economici. Per esempio, il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi commerciali potrebbe essere compensato in termini di opportunità di investimento da una crescita economica nazionale più robusta. Ma possiamo essere molto rialzisti sulle obbligazioni a fronte di una visione radicale del populismo? “Naturalmente sì, se crediamo che i profondi cambiamenti politici e istituzionali avranno un impatto negativo sulla crescita – risponde Iggo – Una recessione globale alimentata da un tale colpo al consenso economico degli ultimi decenni implicherebbe normalmente tassi più bassi e rendimenti positivi per le obbligazioni”. Ma il populismo post-capitalista potrebbe funzionare in modo diverso. E se si ricorresse alla monetizzazione per combattere il rallentamento del credito nel settore privato? E se non si riuscisse ad adempiere ai contratti obbligazionari? O se si finanziasse un deficit eccessivo? “Il mercato obbligazionario potrebbe non sembrare la scelta ideale in ogni occasione per conservare la ricchezza”, dice Iggo.
 
 
L’inflazione è il tema portante
 
 
Se guardiamo ai Paesi dove le spinte populiste sono più forti si individuano con maggiore chiarezza i temi di investimento. Donald Trump si dichiara favorevole a una crescita che comporterà tassi più alti e inflazione. Il piano proposto dal Fronte National prevede stimoli fiscali aggressivi anche per la Francia, finanziati da una Banque de France “indipendente”. Persino nei Paesi in cui non c’è un governo direttamente populista potrebbero essere adottate politiche populiste per prevenire una sconfitta elettorale: “Il Regno Unito si è dilettato con gli stimoli fiscali e certamente oggi c’è meno austerity in Europa”, aggiunge Iggo. In generale l’aumento del credito e le pressioni sulle Banche centrali per mantenere una politica monetaria e valutaria accomodante si combinano con l’incremento dei rendimenti obbligazionari e delle aspettative inflazionistiche. “Per il momento queste aspettative sono ancora entro i parametri degli ultimi dieci anni. Ma se ci troviamo veramente di fronte a un nuovo paradigma politico dobbiamo considerare gli sviluppi al di là della recente esperienza storica. Perché non l’inflazione al 5 per cento?”, si domanda Iggo. Che conclude: “Ritengo che bisognerebbe considerare di investire in obbligazioni indicizzate all’inflazione o in qualche forma di protezione contro l’inflazione”.