News Sondaggio: quasi l’80% degli investitori è in modalità Risk On

Sondaggio: quasi l’80% degli investitori è in modalità Risk On

Pubblicato 28 Gennaio 2013 Aggiornato 19 Luglio 2022 16:22

Di seguito pubblichiamo un sondaggio, condotto da Axa Investment Managers, svolto a Parigi durante una riunione con alcuni grandi investitori istituzionali riguardante l'attuale propensione al rischio degli investitori.




<b>1. Il rischio di spaccatura nell'Area Euro è ormai acqua passata?</b>

Si: 65,4%

No: 30,9%

(non risponde: 3,7%)




Il 96% degli investitori interpellati ha mostrato di avere le idee chiare sulla questione, e questa è già un'informazione. I due terzi, la maggioranza, ritiene che il peggio sia ormai passato. Ok, potrebbe trattarsi di un orientamento di tipo euro-centrico ma, anche in questo caso, una minoranza significativa ancora dubita che l'Area Euro navighi in acque sicure. Poiché si tratta dell'opinione di investitori che operano nei Paesi core dell'Eurozona, l'affermazione riveste un certo rilievo.




Nel complesso, condivido questa view relativamente equilibrata. Il rischio sistemico dell'Area, in parole povere, il rischio di una spaccatura, è considerevolmente diminuito grazie ai passi fatti verso una piena riforma della governance dell'unione monetaria, come ad esempio il lancio del fondo di salvataggio pari a 500 miliardi di euro (ESM), normative fiscali severe e credibili (il fiscal compact), i primi approcci per la creazione di un'unione monetaria e il dichiarato impegno della BCE. Tuttavia, il processo è ancora reversibile poiché la dimensione politica della riforma, cioè il tipo di unione politica che cementerà la nuova struttura dell'unione se ratificata dai popoli coinvolti, non è ancora stata affrontato.




Per contro non ritengo che questa volta sarà impresa facile nascondere sotto il tappeto le divergenze fondamentali sulla dimensione politica dell'unione monetaria. Durante i primi nove anni dell'UEM, gli investitori sono stati accecati dalle normative collaterali della BCE, che non hanno fatto differenze di qualità tra i titoli sovrani, e dalla convinzione ampiamente diffusa che la clausola di non salvataggio del Trattato di Maastricht sarebbe stata revocata in tempo di crisi. Il default della Grecia ha posto fine a queste illusioni.




<b>2. La Francia raggiungerà il suo obiettivo di deficit fiscale del 3%?</b>

Si: 5,5%

No: 92,3%

(non risponde: 2,2%)




Le autorità francesi sono ancora impegnate a tagliare il disavanzo fiscale generale dal 4,5% del PIL nel 2012 al 3% a fine 2013. Tuttavia, la credibilità su questo obiettivo specifico è vicina allo zero, almeno tra gli investitori istituzionali. Ciò non implica che questo Governo non goda di credibilità dal punto di vista fiscale: molti investitori ritengono che l'epoca del credo di Theo Waigel, "Drei Komma Null" (tre-puntozero) dei primi anni '90 sia finita e che sia invece cominciata l'era degli obiettivi di deficit corretti a seconda del ciclo.




Sin da quando il budget francese è stato elaborato presupponendo una crescita del PIL dello 0,8%, un risultato significativamente inferiore, ad esempio una crescita dello 0%, provocherebbe "automaticamente" un deficit del 3,4% del PIL, sempre presupponendo che il Governo verifichi che i parametri di budget siano sotto controllo, come ad esempio le spese pubbliche.




Molti investitori probabilmente ritengono che un disavanzo leggermente superiore al 3% (diciamo inferiore al 3,5%) a causa della stagnazione economica sarebbe ancora accettabile dal punto di vista del mercato.




Lo sarebbe? A mio avviso, è interesse della Francia continuare a perseguire l'obiettivo iniziale. Prima di tutto, le autorità francesi hanno un track record molto scadente quando si tratta di obiettivi fiscali. Nel 2011, il disavanzo reale (-5,2% del PIL) è stato di 0,5 punti percentuali inferiore alle proiezioni ma si è trattato dell'unica eccezione in 20 anni, non della regola. Poiché ci sono anni cattivi ma anche anni buoni, l'errore sulle previsioni di bilancio fiscale dovrebbe in media teoricamente essere vicino allo zero. Non è il caso della Francia, mentre la Germania vanta una serie storica decisamente migliore, registrando ad esempio un surplus nel 2012 mentre all'inizio il governo federale aveva previsto un disavanzo.




Tornando alla Francia, attenersi all'obiettivo iniziale non solo contribuirebbe a ristabilire la credibilità fiscale e dunque ad alimentare la fiducia delle imprese, ma darebbe anche al Paese un maggior potere nelle negoziazioni per la nuova governance dell'euro.




<b>3. I consumatori americani ricominceranno a spendere nel 2013?</b>

Si: 75,8%

No: 15,4%

(non risponde: 8,8%)




Atto di fede o aspettativa ragionevole? Un po' di entrambe probabilmente. A mio avviso, la variabile principale per il Settore dei consumi USA è il suo bilancio. Prima del picco massimo di indebitamento (2001-2007), il rapporto debito/reddito delle famiglie USA registrava un rialzo mediamente di 1,3pp per anno. Lo scostamento dal trend ha raggiunto 27 punti percentuali a fine 2007. Da allora, il rapporto è sceso in maniera quasi lineare.




A settembre dell'anno scorso è sceso per la prima volta dal 2000 a un livello inferiore al trend. Con ogni probabilità, il rapporto del debito è ulteriormente calato da allora e continuerà a scendere, grazie alle condizioni di rifinanziamento del debito estremamente convenienti garantite dalla Fed. Si può discutere se si tratta di una condizione sufficiente a scatenare la ripresa dei consumi (una condizione necessaria). A tale proposito, il nostro osservatore negli USA, Mark Allan, è più cauto di quanto non lo sia io. Ma l'inizio di una ripresa nel corso del 2013 è una possibilità reale.




</b>4. Siete in modalità risk-on o risk-off?</b>

Risk-on: 78,3%

Risk-off: 8,4%

(non risponde: 13,3%)




Le risposte alle domande 1 e 3 hanno lasciato poco spazio ai dubbi circa l'umore di questo gruppo d'investitori. In ogni caso, sono stato positivamente sorpreso dalla schiacciante maggioranza - praticamente 4 su 5 - di voti favorevoli al rischio. Poiché questa è anche la posizione del team Research and Investment Strategy di AXA IM e, a quanto pare, quello della maggior parte dei broker, ho iniziato ad avere dei ripensamenti. Eppure, i contrarian non hanno sempre ragione: se l'avessero, non sarebbero in controtendenza, giusto?