UBS perde affare in Cina dopo frase sui ‘maiali cinesi’. E ora l’alta finanza ha il terrore di offendere Pechino

Il Pomo della discordia sta nelle parole seguenti: “maiali cinesi”. Dolce&Gabbana capirà bene la situazione che sta vivendo UBS, in queste ore, in Cina: d’altronde, l’anno scorso fu costretta a chiedere scusa per un video pubblicato sui social del paese che venne definito “sessista e razzista”.
“Abbiamo commesso degli errori nell’interpretare la vostra cultura – dissero a fine novembre i due stilisti della casa di moda – Abbiamo ancora molto da imparare. Faremo tesoro di questa questa esperienza. Non succederà mai più”.
Lo ‘scandalo’ era scoppiato, nel caso di Dolce&Gabbana, per alcuni video promozionali che avevano irritato la comunità cinese: tra questi, quello in cui una donna cinese tentava goffamente di mangiare piatti della cucina italiana con le bacchette tradizionali.
Stavolta, a offendere Pechino è stato invece il colosso svizzero UBS. L’offesa è stata tale che la banca ha perso un grosso affare: quello di agire in qualità di advisor per l’emissione di bond in dollari Usa per conto di China Railway Construction Corp, società sotto il controllo di statale.
UBS dà scandalo in Cina con frase ‘maiali cinesi’
Il motivo della decisione clamorosa di punire UBS strappandole l’accordo è proprio nella frase “maiali cinesi”, proferita da un economista senior della banca elvetica.
Tutto è iniziato, infatti, con alcuni commenti che l’economista ha rilasciato nel commentare il rialzo dell’ inflazione in Cina.
Paul Donovan, dal 2016 responsabile economista globale presso la divisione di gestione patrimoniale di UBS, ha diffuso le sue dichiarazioni su un podcast, che è stato pubblicato lo scorso mercoledì e trascritto sul sito della banca. Il podcast è rimasto in pagina il tempo di qualche ora, prima di essere rimosso.
Donovan aveva commentato il trend dei prezzi al consumo della Cina, motivandolo principalmente con la peste suina africana:
“Ha importanza? Ha importanza se sei un maiale cinese. Ha importanza se ti piace mangiare maiali in Cina”.
Immediata la furia dell’opinione pubblica, irritata dalla possibilità che con la parola maiale cinese, l’economista avesse fatto riferimento non agli animali, ma agli esseri umani. Definendoli per l’appunto maiali cinesi.
La rabbia si è scatenata immediatamente sui social media cinesi, portando un’azienda a sospendere addirittura ogni tipo di affari con la prima banca svizzera.
Ubs si è scusata per l’equivoco, congedando Donovan dal lavoro. Lo stesso Donovan si è scusato, affermando che i prezzi al consumo in Cina sono saliti principalmente a causa della malattia, per l’appunto, che sta colpendo i suini.
Ma dalla Cina nessuna pietà. Duro anzi il quotidiano statale People’s Daily, di proprietà del partito comunista cinese, che ha parlato, anzi, della necessità di stabilire una punizione.
“Non si sa ancora se Donovan sia stato licenziato o meno, ma chi insulta il popolo cinese deve pagare un prezzo”, ha scritto il quotidiano in un editoriale pubblicato venerdì scorso. Altrimenti, si legge ancora nel commento, “le ricadute saranno inevitabili, e i potenziali responsabili saranno incentivati a fare lo stesso”.
Il caso fa tremare l’industria finanziaria mondiale, che sta puntando tra l’altro proprio sull’espansione in Cina, in quanto seconda economia al mondo che sta aprendo ulteriormente le porte dei suoi mercati.
Nel dicembre dello scorso anno, ricorda un articolo di Reuters, proprio UBS era diventata la prima banca straniera nel paese a ricevere l’approvazione ufficiale per acquisire una partecipazione di controllo nelle joint-venture locali.
E ora il panico è tale che alcune fonti hanno riferito a Reuters che, dopo lo ‘scandalo’, diversi gestori hanno chiesto a UBS in via informale di fare molta attenzione a come utilizza le parole quando si parla di Cina o di società cinesi.
Un banchiere senior ha così commentato: “Uno dei nostri economisti è venuto da me e mi ha chiesto se non fosse il caso di stilare una lista di parole da evitare nei report che stiliamo sulla Cina. Pensavo che stesse scherzando, ma parlava sul serio”. Dal canto suo, UBS ha promesso di rafforzare i controlli interni per evitare che il fatto si ripeta, confermando di essere “pienamente impegnata a investire in Cina”.
Tuttavia, il sospetto che diversi banchieri hanno è che Pechino stia andando a caccia di scuse per evitare che gli stranieri guadagnino troppe fette di mercato nel settore finanziario cinese, dopo che anche l’americana JP Morgan e la giapponese Nomura, a marzo, hanno ricevuto l’autorizzazione ad acquisire il controllo del 51% delle joint venture locali.
“Non si può ignorare il timing della controversia...le case di brokeraggio straniere stanno cercando di lasciare una grande impronta in Cina, e gli istituti locali si stanno preoccupando per l’impatto che una tale situazione avrà sulle proprie rispettive fette di mercato”.