Notizie Notizie Mondo Trumpnomics, “La riforma fiscale americana è un rischio per il commercio internazionale”

Trumpnomics, “La riforma fiscale americana è un rischio per il commercio internazionale”

14 Febbraio 2017 18:05
 
 
 
 
Nelle prossime settimane, il dibattito sulla riforma dell’imposta sulle società, che sarà avviato al Congresso Usa, promette di provocare onde d’urto di un’ampiezza ancora maggiore rispetto a quelle provocate dal decreto presidenziale che limitava gli ingressi delle persone provenienti da alcuni Paesi islamici “a rischio”. Queste “onde” potrebbero influire sia sull’andamento del dollaro, sia sulle relazioni commerciali internazionali. Come spiega Anton Brender, Chief Economist di Candriam Investors Group, il progetto di riforma del Partito Repubblicano combacia in diversi punti con quello abbozzato dal presidente Donald Trump. Entrambi prevedono infatti una sensibile riduzione delle aliquote d’imposta e la deducibilità totale dal reddito imponibile degli investimenti effettuati, più che degli interessi pagati come avviene ora. “Ma il “border adjustment” rischia tuttavia di provocare serie controversie, forse tra il Presidente e il Congresso, ma ancora di più tra gli Stati Uniti e il resto del mondo”, commenta Brender.
Export tax free
Infatti il progetto del Partito Repubblicano propone di non tenere più conto, per il calcolo del reddito imponibile delle società, dei pagamenti transfrontalieri: gli introiti dell’export quindi non rientrerebbero più nel calcolo di questa imposta e lo stesso dicasi per le spese legate al regolamento dei prodotti importati. Di primo acchito, sottolinea Brender, una misura del genere sembra chiaramente protezionistica: riducendo l’utile imponibile delle aziende esportatrici e aumentandolo invece per quelle che si riforniscono all’estero, questo adeguamento non può che spronare le aziende a rilocalizzare la loro produzione negli Stati Uniti. “La proposta ha dunque tutte le basi per sedurre il nuovo Presidente, benché egli, almeno per ora, la trovi troppo complicata – dice lo strategist – Adottare dei dazi doganali sembra infatti più semplice”. Ed è qui che sta il problema: il Partito Repubblicano è infatti tradizionalmente favorevole al libero scambio e, per quelli che lo propongono, l’adeguamento alla frontiera non ha niente a che fare con la politica commerciale: la misura è di ordine puramente fiscale. “Non solo, come spiegano i proponenti, non intende modificare l’equilibrio degli scambi commerciali”, aggiunge Brender.
Neutralità commerciale?
Il ragionamento che conduce a questa conclusione rassicurante merita tuttavia una deviazione. Immaginiamo dunque che il “border adjustment” sia adottato. Che cosa succederebbe? La risposta dei fautori della misura è semplice: le imprese americane, di fronte al costo fiscale delle loro importazioni e all’assenza di imposta alle loro esportazioni, sarebbero spinte a importare di meno ed esportare di più. Il saldo corrente americano si ridurrebbe e il dollaro si apprezzerebbe fino a neutralizzare l’incentivo a esportare di più e importare meno legato a questa misura. “Dunque, il dollaro si apprezzerà fino a quando l’utile dopo imposte delle imprese americane ritroverà il suo livello precedente”, spiega Brender. E i fautori della misura affermano tranquillamente che con un’aliquota sugli utili abbassata al 20%, un apprezzamento del dollaro del 25% garantirà la “neutralità commerciale” dell’adeguamento frontaliero.
Nuovi paradigmi
Questo apprezzamento annunciato del dollaro, secondo lo strategist implica tuttavia un gioco di meccanismi di un’altra epoca. Nei fatti, la globalizzazione finanziaria ha profondamente cambiato la natura delle forze che influiscono sul corso delle valute. “Nel caso del mercato del cambio del dollaro in particolare, l’influenza della bilancia commerciale americana si è considerevolmente attenuata, mentre quella delle forze finanziarie – scarti dei tassi d’interesse e anticipazioni degli investitori – si è rafforzata – dice Brender – E non si vede come queste ultime possano al giorno d’oggi condurre la valuta americana a un’impennata così estrema”. La conclusione è chiara: la riforma della fiscalità delle società che si deciderà negli Stati Uniti ha molte probabilità di avere conseguenze importanti sul commercio internazionale e spetterà al resto del mondo decidere come reagire.