Notizie Notizie Mondo Trump annuncia dazi acciaio e alluminio. Con tariffe minaccia spirale inflazionistica?

Trump annuncia dazi acciaio e alluminio. Con tariffe minaccia spirale inflazionistica?

Pubblicato 2 Marzo 2018 Aggiornato 2 Marzo 2018 14:29

Donald Trump minaccia ancora il commercio globale, annunciando l’imposizione di dazi doganali del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio. Alert protezionismo in tutto il mondo, mentre Moody’s, in una nota, scrive che i paesi più colpiti saranno il Canada e il Bahrein. D’altronde il Canada è il paese che più di tutti esporta acciaio negli Stati Uniti.

Il Dow Jones precipita di oltre 420 punti, -1,7%, a 24.608,98, dopo essere crollato fino a 586 punti, -2,3%, nei minimi intraday. Lo S&P ha ceduto -1,33% a 2.677,67, il Nasdaq Composite -1,27% a 7.180,56. La borsa di Tokyo è crollata del 2,5%, e a puntare verso il basso sono stati tutti i principali indici azionari asiatici.

Immediata la reazione dei leader di tutto il mondo. Il Canada ha indicato l’intenzione di rispondere ai dazi doganali Usa con proprie misure. L’Unione europea ha dichiarato che “reagirà in modo fermo e commisurato” per difendere i propri interessi. Il ministro del Commercio del Giappone ha tenuto a precisare che le esportazioni giapponesi di acciaio non sono una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

In questo contesto, “considerata l’incertezza riguardo a come risponderanno altri paesi all’imposizione delle tariffe Usa, ci aspettiamo che per ora il sentiment di mercato, nei confronti del rischio, rimanga fragile”, ha scritto in una nota Chang Wei Liang, strategist di Mizuho Bank.

Ciò che spaventa maggiormente la comunità degli investitori internazionali, oltre al rischio che i paesi di tutto il mondo rispondano imponendo anch’essi i dazi, al fine di colpire l’export Usa, è anche il fatto che i dazi vengono considerati un elemento inflazionistico, in quanto tendono a tradursi in un aumento dei prezzi per i consumatori.

Ed è stata proprio la paura di un’accelerazione delle pressioni inflazionistiche, e di conseguenza il timore di strette monetarie più aggressive da parte della Federal Reserve, ad affossare la propensione verso il rischio nei mercati finanziari globali.

L’annuncio di Trump rinfocola tali timori.

Lo stesso William Dudley, presidente della Fed di New York, ha detto in un discorso proferito dal Brazile che “se le tariffe saliranno, tenderanno a esercitare una ulteriore pressione al rialzo sui prezzi, e tale pressione al rialzo sui prezzi dovrà essere considerata dall’autorità monetaria”.

Il presidente Usa ha detto che i dazi doganali scatteranno la prossima settimana, e ha garantito che dureranno “per un lungo periodo di tempo”.

La Casa Bianca ha diramato un comunicato per precisare che la decisione sulle tariffe è stata presa per “proteggere le aziende che operano negli Usa e i lavoratori dai prezzi bassi dell’acciaio estero“. Il dipartimento del Commercio Usa, a tal proposito, ha affermato che diverse fabbriche hanno chiuso i battenti in America negli ultimi anni, e che migliaia di posti di lavoro sono andati perduti.

“Continueremo a proteggere i lavoratori americani”, ha detto Sara Sanders, portavoce della Casa Bianca.

Intanto, tra le reazioni, si mette in evidenza la rabbia dell’industria dell’acciaio cinese. “Questa è una misura di protezionismo stupida, che invece di rafforzare tenderanno solo a indebolire gli Stati Uniti”, è sbottato Li Xinchuang, vice presidente dell’associazione China Iron & Steel Assocation.

Tra l’altro, sebbene la guerra commerciale lanciata da Trump abbia come target principale la Cina, nel 2017 i paesi che hanno esportato maggiori quantità di acciaio sono stati il Canada, seguito dal Brasile, dalla Corea del Sud, dal Messico e dalla Russia. Altri paesi esportatori in Usa sono anche e soprattutto la Turchia, il Giappone,  Taiwan e la Germania.

Bloomberg fa inoltre notare che, quando “nel 2002 il presidente Bush impose dazi fino al 30% sulle importazioni di acciaio, prima di fare dietrofront l’anno successivo a causa delle ritorsioni arrivate dai partner commerciali, il risultato fu un calo superiore a -30% dello S&P 500, un dollaro più debole e un rally dei bond, con i tassi decennali Usa quasi dimezzati (non scattò dunque all’epoca l’effetto spirale inflazionistica, ora temuto).