Standard & Poor’s teme lo stallo politico e alza l’allerta sull’Italia. L’outlook passa a negativo
La tragedia greca scuote l’Italia. E’ Standard & Poor’s ad alzare l’allerta sulla Penisola. Lo fa ben conscia dell’incertezza politica che si è levata da Milano a Napoli con il recente test delle amministrative, che riproporrà la sfida finale il prossimo fine settimana. Gli analisti dell’agenzia di rating mettono in anticipo dei punti fermi. “Il potenziale stallo politico potrebbe contribuire ad un rilassamento nella gestione del debito pubblico. Come risultato, crediamo che le prospettive dell’Italia per ridurre il debito pubblico siano diminuite”. Da qui a decidere di abbassare il giudizio sul paese il passo è stato breve. L’outlook è passato da stabile a negativo. Secondo S&P, un outlook negativo significa che il rating sovrano dell’Italia, attualmente a A+, il quinto miglior rating possibile, ha una probabilità su tre di essere abbassato nel corso dei prossimi 24 mesi.
Anche all’Italia è quindi toccata quella retrocessione che ha già fatto altre vittime illustri nella Periferia d’Europa: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. “Le attuali prospettive di crescita sono deboli e l’impegno politico per riforme che aumentino la produttività sembra incerto”. La way out è una sola: percorrere la strada delle riforme necessarie per riportare l’Italia sulla strada della crescita. “Se il governo riuscirà ad ottenere sostegno politico per l’attuazione di riforme strutturali a favore della competitività, ponendo le basi per una crescita economica più elevata ed una più veloce riduzione del debito, i rating potrebbero rimanere al livello attuale”, scandiscono gli esperti. La decisione di S&P’s non era affatto scontata: anzi, ha sorpreso gli investitori e i mercato in quanto il rapporto deficit/ Pil tricolore è migliore di quello che si ritrova in giro per l’Europa. Anche la dinamica del debito/ Pil non presenta le stesse zone d’ombra di Spagna, Portogallo e soprattutto della Grecia. Standard & Poor’s è convinto che in futuro il livello del debito governativo italiano rimarrà il principale vincolo per il rating e prevede che l’indebitamente netto governativo raggiunga il 116% del Pil nel 2011, dal 100% del Pil nel 2007 e in linea con il livello del 1997.
Sono bastati due anni, il 2008 e il 2009, per spazzare via tutti gli sforzi di consolidamento fiscale fatti in un decennio. Resta poi il fatto che “le misure strutturali attuate nel 2010 e quelle contenute nel Piano Nazionale di Riforma recentemente aggiornato non sono sufficienti a stimolare la crescita economica nel medio termine”. “La crescente fragilità dell’attuale coalizione di governo rende più impegnativa la tempestiva attuazione delle riforme strutturali più significative che favoriscono la crescita”, avvertono sibillini a S&P’s. Ma se la debole crescita economica dovesse persistere, il risultato di bilancio potrebbe bucare gli obiettivi posti dal governo e far deragliare il piano di riduzione del debito contenuto nel Programma di Crescita e Stabilità”.
Immediata la risposta di Giulio Tremonti, il ministro dell’Economia, che ha rimandato al mittente questa analisi. Il Mef ha puntualizzato che non c’è il rischio di una paralisi politica. Anzi, secondo il ministero di via XX Settembre le ultime indicazioni fatte dal governo sono troppo prudenziali, in quanto l’economia tiene. Eppure per Standard & Poor’s la situazione italiana resta nebulosa sul lungo termine a causa anche dello sfavorevole profilo demografico in Italia. Il costo legato agli interessi sul debito pubblico italiano – rileva S&P – è pari a oltre il 10% delle entrate pubbliche nel 2011, superiore del 7,5%, al livello mediano della categoria di rating A e previsto in ulteriore aumento. Basta guardare la voce interessi passivi per fotografare la situazione: riflettono l’impatto dell’elevato indebitamento pubblico sulle finanze italiane.
Se la posizione netta sull’estero delle aziende italiane è pari al 42% del Pil, equivalente al doppio della posizione debitoria netta sull’estero del settore finanziario, la posizione debitoria netta sull’estero del settore pubblico è pari a 782 miliardi di euro, ossia al 50% del Pil. Se per i listini del Vecchio Continente si apre una nuova settimana di passione. Si ricomincia dalle tensioni della Grecia viste nei giorni scorsi. L’Unione europea è in pressing su Atene perché realizzi attraverso un’agenzia indipendente il piano di dismissioni finalizzato a dare ossigeno ai conti del paese. L’Italia testerà gli umori del mercato giovedì. Il Tesoro italiano ha messo in calendario un asta per piazzare Bot per 8,5 miliardi di euro e CTz per 2,5 miliardi, venerdì sarà la volta dei Btp indicizzati all’inflazione per 1-1,5 miliardi.