Spettri del passato su Tesla. Non tutte le obbligazioni high yield sono elettrizzanti
Il mercato high yield sta ancora una volta facilitando il venture debt, cioè sta finanziando società innovative o start-up che non hanno flussi di cassa positivi o asset significativi da utilizzare come garanzia. Secondo Jamie Farnham, Director of Credit Research Fixed Income di TCW, i recenti finanziamenti ad alto rendimento di Tesla e WeWork possono servire da precursori minacciosi di pericoli in agguato.
Il caso Iridium
Come ricorda lo strategist, in passato ciò è già avvenuto, ma i ricordi della fine degli anni ’90 sono svaniti dalla memoria di alcuni, e i più giovani non hanno memoria per ricordare.
“Può essere utile rispolverare il caso Iridium, che a metà del 1998 raccolse miliardi di dollari per costruire una rete per fornire servizi di telefonia globale attraverso un gruppo di satelliti, ma che nell’agosto del 1999 dovette dichiarare bancarotta”, dice Farnham. Giusto per ricordare, la societa Iridium, nata all’interno di Motorola, si rivolse prima al mercato azionario e infine ai mercati high yield per ottenere finanziamenti. Il suo tallone d’Achille fu tuttavia un’emorragia continua di flusso di cassa libero esattamente nello stesso tempo in cui continuava ad accumulare costose obbligazioni con cedole del 13-14 per cento.
“A nostro avviso – commenta Farnham – i recenti finanziamenti di WeWork e Tesla fanno eco a Iridium con alcune caratteristiche simili, tra cui un significativo flusso di cassa libero negativo, ambizioni commerciali elevate e dipendenza dai mercati dei capitali per continuare”.
“A nostro avviso – commenta Farnham – i recenti finanziamenti di WeWork e Tesla fanno eco a Iridium con alcune caratteristiche simili, tra cui un significativo flusso di cassa libero negativo, ambizioni commerciali elevate e dipendenza dai mercati dei capitali per continuare”.
Vediamo quindi alcune di queste coincidenze, secondo l’analisi dello strategist di Twc.
Focus su Tesla
Cominciando da Tesla, va ricordato che ha raccolto nell’agosto 2017 ben 1,8 miliardi di dollari di obbligazioni senior a scadenza quinquennale al 5,3%, che da allora hanno fatto registrare un calo di quasi il 12 per cento.
“Nonostante abbia probabilmente bisogno di finanziamenti incrementali per continuare lo sviluppo, l’amministratore delegato si è arrabbiato a cause di alcune domande poste dagli investitori obbligazionari in una recente conference call – spiega Farnham – Per un’azienda che sta ancora bruciando grandi quantità di denaro, la questione rilevante è se l’arroganza mista alla legge di Murphy sia potenzialmente una combinazione letale”.
“Per gli investitori high yield, il cui lato positivo è semplicemente guadagnare una cedola del 5,3% più il rimborso, la questione rilevante è se tale potenziale sia sufficiente a non fare la stessa fine di Iridium”, aggiunge ancora lo strategist.
Focus su WeWork
WeWork ha invece raccolto, nell’aprile 2018, 700 milioni di dollari di obbligazioni senior a scadenza settennale al 7,875 per cento. Gli sforzi di marketing dell’azienda verso gli investitori sull’high yield miravano a persuadere i finanziatori a concentrarsi su misure non-GAAP anziché sulle tradizionali metriche immobiliari.
“Gli investitori high yield di più lungo corso potrebbero ricordare i finanziamenti della Competitive Local Exchange Company (CLEC) alla fine degli anni ’90, quando veniva posto l’accento sul PP&E (Property, Plant and Equipment, cioè le immobilizzazioni materiali) netto piuttosto che sulle tradizionali metriche sul flusso di cassa – dice Farnham – Proprio come allora, riteniamo che WeWork stia spendendo molto più denaro di quanto non generi e che dipenda dai mercati dei capitali rimanendo vulnerabile ai cicli economici tradizionali”.
Cautela sul venture debt
In definitiva, per ogni storia di successo come quella di Amazon, vi sono migliaia di start-up, “ammassate nei bidoni dell’immondizia”. E l’ingente ricorso al venture debt non fa che confermare l’impressione che sul mercato high yield si stiano affacciando titoli dallo scarso valore.
“A nostro avviso, è sufficiente riconoscere che il capitale di crescita è inteso a generare rendimenti azionari commisurati ai rischi di business e modelli imprenditoriali non provati. In questo senso, coupon del 5% o del 7% non sembrano nemmeno lontanamente vicini a cogliere nel segno”, conclude Farnham.