Notizie Indici e quotazioni S&P 500 in mercato orso: Morgan Stanley presenta ultima fermata bearish. ‘Crolli post Fed non sono finiti’

S&P 500 in mercato orso: Morgan Stanley presenta ultima fermata bearish. ‘Crolli post Fed non sono finiti’

21 Giugno 2022 11:54

Che non ci si illuda, il mercato orso durerà ancora: l’azionario Usa non ha ancora prezzato il rischio di una recessione negli Stati Uniti e dispone, dunque, di ulteriori margini di ribasso: parola degli strategist di Goldman Sachs e di Morgan Stanley.

In particolare, gli strategist di Morgan Stanely guidati da Michael Wilson hanno scritto in una nota riportata da Bloomberg che l’indice S&P 500 dovrà scendere di un ulteriore 15-20%, a 3.000 punti circa, per riflettere a pieno l’intensità della contrazione economica attesa.

Il mercato orso non sarà finito fino a quando non arriverà la recessione o il rischio di una recessione non sarà rientrato“, si legge della nota degli strategist di Morgan Stanley, che segue i bruschi tonfi che Wall Street ha sofferto la scorsa settimana: lo S&P 500 ormai è in fase di mercato orso, avendo perso più del 20% dai massimi precedentemente testati a gennaio.

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Come sottolinea Bloomberg, la stessa view è condivisa da Goldman Sachs, che ritiene che le azioni stiano scontando soltanto una recessione moderata, il che “le rende esposte a un ulteriore deterioramento delle aspettative”.

Non per niente gli analisti del colosso bancario americano hanno rivisto al rialzo, guardando ai fondamentali economici degli Stati Uniti, la probabilità dell’arrivo di una recessione negli Usa dal 15% precedentemente atteso al 30%, nel corso del prossimo anno.

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Siamo sempre più preoccupati che la Fed si senta costretta a rispondere con forza all’elevata inflazione headline e alle attese sull’inflazione al consumo, se i prezzi energetici continueranno a salire, anche se l’attività economica dovesse rallentare in modo significativo”, si legge nel commento di Goldman Sachs.

E lo strategist di Morgan Stanley Michael Wilson, che ha avuto ragione nel prevedere la fase di sell off che si è appena abbattuta sui mercati finanziari, ha detto di stimare che, se una recessione in stile hard landing dovesse diventare lo scenario di base dei mercati, lo S&P 500 potrebbe capitolare fino a quota 2.900 punti, in calo di oltre -21% rispetto al valore di chiusura di venerdì scorso.

Wall Street oggi sembra pronta alla rimonta, ma la volatilità è dietro l’angolo, a fronte del chiodo fisso della recessione, che si accompagna a quello dell’inflazione.

Wall Street: S&P 500 reduce da settimana peggiore dal 2020

La borsa Usa sta pagando in sostanza la paura di un hard landing, temendo che la lotta della Fed di Jerome Powell contro la fiammata dei prezzi non riuscirà a evitare il peggio per l’economia Usa.

Giovedì scorso è stata una sessione da incubo per gli indici azionari Usa, con lo S&P 500 e il Nasdaq crollati ulteriormente nella fase di mercato orso, a seguito dell’annuncio sui tassi della banca centrale americana, nella sessione della vigilia . Il Dow Jones, in quel Black Thursday, è capitolato di oltre 700 punti, flirtando con il mercato orso.

Bilancio terribile, quello della scorsa settimana, per Wall Street: lo S&P 500 ha chiuso in calo su base settimanale del 5,8%, riportando il trend settimanale peggiore dal 2020; il Dow Jones ha perso il 4,8%, scendendo sotto la soglia dei 30.000 punti per la prima volta dal gennaio del 2021, il Nasdaq ha perso anch’esso il 4,8%.

Venerdì scorso lieve recupero per la borsa Usa: il Dow Jones ha chiuso in flessione di 38,29 punti (-0,13%), a 29.888,78 punti, lo S&P 500 è salito dello 0,22% a 3.674,84 (e appunto secondo Morgan Stanley ha spazio per crollare fino a 2.900 punti), il Nasdaq è balzato dell’1,43% a 10.798,35.

La Fed guidata da Jerome Powell ha alzato mercoledì scorso i tassi sui fed funds di 75 punti base, lanciando la stretta monetaria più sostenuta dal 1994. I tassi sono stati alzati al nuovo range compreso tra l’1,5% e l’1,75%, al valore più alto dal periodo precedente l’esplosione della pandemia Covid-19.

La banca centrale Usa è così andata avanti con il suo piano #WhateverItTakes contro l’inflazione, rispettando quanto prezzato dai mercati., ma alimentando contestualmente il panico di un Volcker shock.

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S&P 500 non ha prezzato ‘solo’ Fed ma anche SNB, BoE e Bce

Ma Wall Street non ha prezzato ‘solo’ la mossa della Fed.

La scorsa settimana ha visto infatti protagoniste anche le strette monetarie di Svizzera e Regno Unito, che hanno contribuito ad affossare lo S&P 500 fino a farlo capitolare nella fase di bear market.

In Svizzera la SNB, Banca centrale svizzera, ha alzato i tassi per la prima volta in 15 anni: la stretta è stata di 50 punti base, e ha portato i tassi dal -0,75% al -0,25% (sempre negativi).

Dopo qualche ora, nel giovedì nero dell’azionario globale, è arrivato l’annuncio della Bank of England, banca centrale del Regno Unito, relativo alla decisione di alzare i tassi principali di riferimento degli UK di 25 punti base, dall’1% all’1,25%, record degli ultimi 13 anni. Si è trattato della quinta stretta consecutiva targata BoE, che ha confermato la lotta dell’istituzione contro l’inflazione, che galoppa al ritmo più alto degli ultimi 40 anni, pari a +9% su base annua. E non è finita certo qui, visto che la Bank of England ha rivisto al rialzo l’outlook sull’inflazione del Regno Unito di quest’anno, e ora prevede una fiammata dei prezzi “lievemente al di sopra” dell’11%.

Una decisa sberla ai mercati di tutto il mondo è arrivata inoltre anche dall’Eurozona, dove all’inizio della scorsa settimana i BTP, in particolare, hanno continuato a essere tartassati dalle vendite, a fronte di rendimenti decennali volati fin oltre il 4%, per effetto dell’annuncio della Bce del giovedì precedente del 10 giugno: annuncio con cui la presidente Christine Lagarde & Co avevano preannunciato una serie di rialzi dei tassi, nell’area euro, senza sfornare nessuno scudo anti-spread.

Detto scudo, o meglio l’annuncio sull’intenzione della Bce di sfornarlo – elemento che indica come il bazooka non sia affatto pronto – ha poi calmato i mercati dei titoli di stato dell’Eurozona, verso la fine della scorsa settimana.

Ma ogni rimonta, con i timori sugli sviluppi della guerra in Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio con l’invasione del paese da parte della Russia di Vladimir Putin, e con il terrore di ulteriori fiammate dell’inflazione – che il ceo di Deutsche Bank Christian Sewing ha definito qualche ora fa il veleno più forte per l’economia mondialierischia di rimanere qualcosa di episodico, all’interno di un mercato orso destinato a perdurare.