Sembra non conoscere la parola fine la sfida sul gioiellino del latte italiano. Il governo è sceso in campo sul dossier Parmalat-Lactalis e con una mossa a sorpresa ha concesso al gruppo di Collecchio la possibilità di spostare l’assemblea a fine giugno, anzichè aprile, dando così più tempo al formarsi di una potenziale cordata italiana. Intesa e Ferrero raccolgono la sfida. “Il fatto di avere un pò di tempo è uno dei presupposti positivi che abbiamo oggi”, ha detto questa mattina il ceo della “banca di sistema”, Corrado Passera, commentando così il decreto approvato ieri dal Consiglio dei ministri che dà due mesi di tempo in più ai consigli di amministrazione o di sorveglianza per convocare le assemblee degli azionisti per l’approvazione del bilancio e il rinnovo dei vertici. “C’è una bella azienda industriale potenzialmente interessata a un discorso industriale di lungo periodo con l’appoggio del mondo del credito”, ha aggiunto Passera riferendosi a una possibile discesa in campo del gruppo Ferrero. Parole buttate lì, non a caso.
Intesa Sanpaolo sta lavorando con il gruppo di Alba per un progetto industriale di lungo periodo su Parmalat, ha ammesso sempre l’ad di Intesa, specificando che “non è l’unico, ma il più rilevante”. A chi gli chiedeva se nel progetto alternativo ai francesi ci fosse un investimento finanziario pari o superiore a quello della Lactalis, Passera si è smarcato: ha evitato di entrare nei dettagli, ma ha rilevato come “è chiaro che, nel caso, ci dovrebbe essere un impegno finanziario importante e adeguato. Nessuno ha in mente di pensare al futuro di Parmalat senza investire”. Per questo, secondo il consigliere delegato, un’ipotesi Ferrero dovrebbe presupporre un impegno diretto dell’azienda piemontese: “Loro – ha spiegato – hanno fatto affermazioni inequivocabili, a un progetto industriale di lungo periodo potrebbero essere interessati e questo è uno dei presupposti su cui stiamo lavorando”. Ma da Parigi non è ancora il momento di lanciare segnali di pace.
I francesi per ora sono limitati a ufficializzare l’acquisto dai Fondi – spiegando che tra azioni detenute, ossia il 13,97%, e partecipazione potenziale, ossia il 15%, custodiscono nel complesso il 28,97% del gruppo – mentre a Parma le bocche restano cucite. Per ora non è dato sapere se il Cda del gruppo guidato da Enrico Bondi sfrutterà il decreto legge approvato in mattinata dal Consiglio dei ministri. Anche se alcuni osservatori ritengono difficile una mossa che vada contro l’indirizzo politico manifestato dall’esecutivo. Gli operatori di mercato emettono già il loro verdetto. Le dichiarazioni di Passera lasciano pregustare a una soluzione Made in Italy. Così il titolo Parmalat torna a crescere questa mattina, guadagnando in questo momento lo 0,95% a 2,338 euro. “Crediamo che il titolo possa beneficiare di questo flusso di notizie, sia in relazione al posticipo dell’assemblea, in quanto il rafforzamento di una cordata italiana dovrebbe passare per un nuovo rastrellamento di azioni, sia in relazione a un’alleanza Lactalis-Ferrero che potrebbe riaccendere l’appeal speculativo in vista di un’eventuale Opa”, segnalano gli esperti di Equita, che su Parmalat confermano il giudizio hold con target price a 2,25 euro.
Ieri i francesi della Lactalis e i vertici del gruppo di Alba Ferrero si sono incontrati per trovare la quadra su Parmalat secondo quanto segnalato da Les Echos. Ferrero avrebbe messo sul piatto a Emmanuel Besnier 1,5 miliardi per il 29% di Parmalat comprato da Lactalis recentemente ma il patron del gruppo francese avrebbe detto no. Gli italiani avrebbero fatto una seconda offerta, che prevede la creazione di una holding comune per controllare il gruppo di Collecchio, a cui potrebbero aderire altri investitori come Granarolo, Intesa, Unicredit e Mediobanca. Lactalis non ha commentato l’indiscrezione, ma sembra che su questo fronte i francesi siano più malleabili. Da Parigi alcune fonti riferiscono che i francesi sarebbero aperti “a tutte le discussioni per arrivare a una soluzione che permetta di accompagnare e di partecipare allo sviluppo di Parmalat”.
La saga che fa tanto rumore sull’asse Parigi-Parma non è passata inosservata all’estero. Dall’America all’Inghilterra guardano con malizia alle baruffe che agitano in questi giorni Parmalat sull’onda di una italianità ritrovata. “Otto anni dopo il suo clamoroso fallimento, una rivitalizzata Parmalat è emersa come il premio” da vincere in uno scontro franco-italiano, che vede Roma in fermento per proteggere aziende strategiche da scalate straniere”, si divertiva a osservare ieri il Wsj, ricostruendo la resurrezione di Parmalat, la scalata di Lactalis nell’azienda emiliana e la reazione del governo italiano davanti alle ambizioni delle multinazionali estere. “Se l’accordo con i francesi dovesse passare l’esame degli enti di sorveglianza, il destino di Parmalat dovrebbe essere lasciato al mercato”, ha tuonato il Financial Times in un commento dedicato alle mosse di Lactalis.
Osservando le mosse della politica per una soluzione industriale italiana, il quotidiano ha scritto che “gli azionisti devono sperare che questo sforzo fallisca”. “Enrico Bondi merita un riconoscimento per aver fatto di Parmalat oggetto di attenzione internazionale da parte degli investitori”, si leggeva nella Lex Column, “ma ha forse passato troppo tempo a inseguire le banche che ritiene in parte responsabili della frode e non abbastanza tempo a occuparsi di latte. Anche se è tardi, ora la palla, conclude il giornale, passa a Ferrero per fare una offerta che persino Lactalis non potrebbe rifiutare”. Da Parigi l’economista francese, Jean-Paul Fitoussi in una intervista a Repubblica scandisce a chiare lettere: “Non si possono fermare le scalate per decreto. Serve piuttosto un atteggiamento attivo del governo”, rimarcando “In Francia non c’è nessuna legge che difenda le aziende nazionale nè potrebbe per i vincoli europei. E proprio il quadro comunitario di antitrust, libero mercato e trasparenza, garantisce le operazioni finanziarie”. Il decreto legge approvato ieri dal Cdm, che secondo le indicazioni del ministro dell’Economia, Giulio Tremoni, si è ispirato al modello transalpino, “non deve essere una norma che blocchi gli stranieri ,a una linea governativa di comportamento, di azione proattiva, in grado di sostenere le industrie. Il tutto nel quadro della normativa Ue, non c’è altra via per salvare i campioni nazionali”.