Società cinesi a Wall Street: da Senato Usa ok a proposta per delisting più facili e Ipo più difficili

Gli Stati Uniti di Donald Trump continuano ad affilare le armi contro la Cina, con l’ultimo schiaffo a Pechino che arriva direttamente dal Congresso. Il Senato americano approva di fatto una proposta di legge che potrebbe impedire a diverse società cinesi di quotarsi a Wall Street con operazioni di Ipo, o di raccogliere fondi presso gli investitori americani con emissioni e vendite di azioni, senza aderire ad alcuni principi standard che regolamentano il mercato Usa.
La proposta, se trasformata in legge, renderebbe inoltre più semplice il delisting delle stesse.
La proposta di legge approvata, presentata dal senatore repubblicano della Louisiana John Kennedy, richiede alle società straniere di certificare di “non essere controllate o di proprietà di un governo straniero”.
Rumor su una misura restrittiva contro il mondo corporate cinese si erano diffusi da un po’ di tempo e fino a ieri: nelle ultime ore, indiscrezioni hanno parlato di come il Nasdaq fosse sul punto di valutare misure che avrebbero reso più difficile, per le società cinesi, quotarsi nella piattaforma hi-tech.
In particolare, il Nasdaq vorrebbe richiedere alle società non Usa – senza emanare dunque alcuna disposizione chiaramente anti-Cina – di raccogliere almeno $25 milioni con le operazioni di Ipo oppure il 25% del valore della loro capitalizzazione di mercato post listing.
I rumor sono stati diffusi da Reuters che, in un articolo, ha ricordato le restrizioni che il Nasdaq aveva già imposto lo scorso anno, nel tentativo di limitare le Ipo di piccole società cinesi. Questo, anche e soprattutto per i bassi volumi di scambio che caratterizzano i loro titoli, gran parte dei quali sono detenuti da pochi insider: una cosa poco gradita alla piattaforma tecnologica, visto che la bassa liquidità di queste aziende le rende non attraenti agli occhi di molti investitori istituzionali, su cui il Nasdaq, invece, punta.
Le nuove restrizioni che il Nasdaq si appresta a lanciare riflettono la preoccupazione dell’operatore di borsa, amplificata dopo che il mese scorso la cinese Luckin Coffee (LK.O), approdata sul mercato Usa con una operazione di Ipo all’inizio del 2019, ha annunciato che, da una indagine interna, era emerso che il proprio direttore generale, insieme ad altri dipendenti, aveva manipolato i dati sulle vendite.
A seguito della rivelazione dello scandolo contabile Luckin Coffee, la più grande catena di caffetterie in Cina rivale dell’americana Starbucks, ha licenziato il suo AD e il suo direttore generale, oltre ad aver sospeso sei dipendenti a conoscenza delle manovre contabili.
Il titolo del gruppo è stato sospeso lo scorso 7 aprile, in “attesa di ulteriori notizie richieste dal Nasdaq”.
La società ha comunicato poi ieri di aver ricevuto una notifica di delisting dal Nasdaq lo scorso 15 maggio ma, anche, che il titolo continuerà a essere scambiato fino a quando non arriverà la sentenza d’appello, che è attesa entro i prossimi 45 giorni. Ieri l’azione è tornata agli scambi, precipitando di oltre -35%.
Tornando al voto del Senato, l’American Securities Association, associazione che rappresenta piccole società finanziarie Usa di piccola dimensione o regionali, si è detta favorevole alla proposta di legge passata al Senato affermando che, “per troppo tempo, società fraudolenti cinesi hanno avuto libero accesso ai mercati americani, sfruttando gli investitori americani. Ora è il momento di mettere al primo posto gli investitori americani e giocare alla pari”.
Come spiega anche Reuters, diverse sono le piccole società cinesi che puntano a sbarcare sui mercati azionari Usa lanciando operazioni di Ipo, per permettere ai loro finanziatori e fondatori di ottenere cash sotto forma di dollari Usa: dollari a cui non possono accedere facilmente a casa propria, a causa dei controlli sui capitali in vigore in Cina.
Queste società utilizzano inoltre il loro status di aziende quotate sul Nasdaq per convincere le banche cinese a finanziarle e, spesso, ricevono anche sussidi dalle autorità locali cinesi in quanto quotate in Borsa.
Le regole sui cui sta lavorando il Nasdaq richiederebbero controlli più stringenti da parte delle stesse società di revisione contabile che, secondo alcune fonti, dovrebbero assicurarsi che anche le filiali di franchising rispettino gli standard contabili globali.
Proprio la scorsa settimana, in un’intervista rilasciata a Fox Business, il presidente americano Donald Trump ha annunciato di star guardando in modo molto deciso all’opzione di richiedere alle società cinesi quotate a New York di osservare gli standard contabili Usa. Il problema, però, ha ammesso lui stesso, è che in questo modo le aziende cinesi potrebbero decidere di snobbare la richiesta e quotarsi sui mercati di Londra o Hong Kong.
Di certo Trump le sta tentando tutte per mettere alla Cina i bastoni tra le ruote. Più volte la sua amministrazione ha accusato Pechino di essere responsabile della diffusione, a livello mondiale, del coronavirus-COVID-19, parlando anche di prove schiaccianti di come il virus fosse uscito da un laboratorio di Wuhan.