News Notizie Italia Smart working: lavoro agile resterà in 89% grandi aziende e 62% PA

Smart working: lavoro agile resterà in 89% grandi aziende e 62% PA

Pubblicato 3 Novembre 2021 Aggiornato 19 Luglio 2022 17:30
Nel 2021 diminuiscono gli smart worker passando dai 5,37 milioni di marzo ai 4,71 milioni di giugno e 4,07 milioni a settembre. Nel post pandemia in totale saranno 4,38 milioni di lavoratori che aderiranno al lavoro agile con formule ibride: in media 3 giornate “agili” nelle grandi aziende, 2 nelle PA.

Così emerge della ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi durante il convegno “Rivoluzione Smart Working: un futuro da costruire adesso”. Nelle grandi imprese e nelle PA il lavoro da remoto, dice la ricerca, continua a essere ampiamente diffuso, con una media rispettivamente di 4,1 e di 3,6 giorni a settimana. Crescono i modelli di lavoro ibridi, in cui si alternano 2 giorni di lavoro in presenza e 3 a distanza o viceversa. Fra le grandi imprese che hanno definito o stanno definendo un progetto di smart working, il 40% afferma che il progetto non era presente prima dell’emergenza e che è stata la pandemia l’occasione per introdurlo, l’85% fra le PA. Il 55% delle grandi aziende e il 25% delle pubbliche amministrazioni ha avviato interventi di modifica degli spazi dell’organizzazione per adattarli al nuovo modo di lavorare. La maggior parte delle organizzazioni non interverrà sulle dimensioni ma sull’organizzazione degli ambienti di lavoro, le altre si concentreranno sulla riduzione degli spazi (in particolare il 33% delle grandi aziende), non mancano infine organizzazioni (ad esempio il 18% delle PA) che prevedono un aumento degli spazi necessari.

Dall’Osservatorio emerge come nel complesso la diffusione dello Smart Working, seppure emergenziale, ha avuto un impatto positivo sui lavoratori: per il 39% è migliorato il proprio work-life balance, il 38% si sente più efficiente nello svolgimento della propria mansione e il 35% più efficace, secondo il 32% è cresciuta la fiducia fra manager e collaboratori e per il 31% la comunicazione fra colleghi. Ma il perdurare della pandemia e i lunghi periodi di lavoro da casa forzato hanno anche avuto alcune ripercussioni negative. Diminuita ulteriormente la percentuale di smart worker pienamente ingaggiati (cioè legati all’azienda e attaccati al proprio lavoro, oltre che soddisfatti), che è passata dal 18% al 7% restando comunque, seppur di poco, superiore a quella degli altri lavoratori, che è pari al 6%. Il tecnostress (cioè gli impatti negativi a livello comportamentale o psicologico causati dall’uso delle tecnologie) ha interessato un lavoratore su quattro, in misura maggiore smart worker (28% contro il 22% degli altri dipendenti), donne (29% contro il 22% dei colleghi) e responsabili (27% contro il 23% dei collaboratori). Alcuni possibili effetti negativi del tecnostress sono il peggioramento del work-life balance, dell’efficienza e l’overworking. Nel complesso l’overworking (ovvero dedicare un’elevata quantità di tempo alle attività lavorative trascurando momenti di riposo) ha coinvolto il 13% dei lavoratori e in misura maggiore gli smart worker degli altri lavoratori (17% contro 9%), le donne degli uomini (19% contro 11%) e i manager rispetto ai collaboratori (19% contro 9%).