Notizie Notizie Mondo Reddito fisso: dov’è finito il rendimento?

Reddito fisso: dov’è finito il rendimento?

Pubblicato 6 Marzo 2017 Aggiornato 5 Luglio 2019 15:05
 
 
 
Lo scenario macroeconomico di inizio 2017 ha favorito una strategia focalizzata sull’inflazione nel reddito fisso. Questo significa quindi favorire l’esposizione sul credito, in particolare nell’high yield e nei titoli indicizzati all’inflazione, a scapito dei titoli di Stato. Per esempio, l’indice delle obbligazioni inflation linked negli Stati Uniti ha superato l’indice equivalente dei Treasury di 64 punti base, mentre nel Regno Unito la sovraperformance è stata di un buon 2,9%. “Sul fronte del credito, tutti gli indici del credito core hanno fatto meglio delle curve dei rispettivi governativi, persino in presenza di numerose nuove emissioni, in particolare nel mercato americano”, è il commento di Chris Iggo, CIO obbligazionario di AXA Investment Managers.
 
Investire in Europa o Usa?
 
Come spiega Iggo, il calo dei rendimenti obbligazionari tedeschi ha influito sul rendimento previsto del mercato del credito europeo. Un indice rappresentativo delle obbligazioni societarie a 1-3 anni oggi presenta un rendimento a scadenza composito di soli 0,5 punti base. La componente a 3-5 anni del mercato rende meno di 50 punti base e occorre andare oltre le scadenze a 7 anni per ottenere un rendimento superiore all’1%. Al contrario, il rendimento delle obbligazioni societarie americane a 1-3 anni è quasi del 2%. “Gli investitori europei che desiderano un’esposizione sul reddito fisso Usa a più alto rendimento devono però assumere anche il rischio di cambio (in vista di un potenziale calo del dollaro), oppure devono accettare rendimenti più bassi dopo aver preso in considerazione il costo di copertura del cambio – afferma Iggo – Con i costi di copertura a un anno vicini al 2%, per gli investitori europei ha più senso rivolgersi al mercato americano per prolungare la scadenza al fine di ottenere un rendimento coperto superiore a quello disponibile sull’Euromercato”. Va detto che i rendimenti sono scesi dato che la curva negli Stati Uniti sconta potenziali maggiori aumenti dei tassi di interesse, mentre i costi di copertura sono saliti: la differenza tra il Libor USD a un anno e l’Euribor a un anno è aumentata di 60 punti base nel corso dell’ultimo anno. “Eppure, in termini relativi, il mercato americano è più interessante, soprattutto per gli investitori con un orizzonte temporale più lungo – spiega lo strategist – Ciononostante, per gli investitori obbligazionari europei che non vogliono assumersi il rischio valutario, la scelta è tra rendimenti molto bassi nel mercato high grade o un rischio più elevato investendo negli Stati Uniti (tassi più alti) o nell’high yield europeo (rischio di credito). Qualcuno suggeriva che, considerata l’euforia dei mercati azionari, alcuni investitori potrebbero applicare una strategia Barbell in liquidità e azioni, sostanzialmente eliminando il credito europeo costoso e a basso rendimento”.
Per quanto concerne i mercati britannici, lo strategist ritiene che, se non fosse per la Brexit, sarebbe logico che la Banca d’Inghilterra emulasse la Fed alzando i tassi nei prossimi mesi. “L’inflazione sta salendo, la crescita del Pil è ancora oltre il 2% e persino il mercato immobiliare resta vivace, nonostante le difficoltà cicliche e strutturali – spiega Iggo – Questa view mi porta a formulare prospettive piuttosto negative sui gilt e moderatamente positive per il credito in sterlina”.
 
Che cosa interromperà il rally del rischio?
 
Alla fine il ciclo invertirà la tendenza per le solite ragioni: aumento dell’inflazione, rialzo dei tassi di interesse, aumento della leva finanziaria e rallentamento della crescita dei ricavi. Dipenderà dalla politica (Federal Reserve), oppure da uno shock (evento politico), ma potrebbe non accadere ancora per molto tempo. “Effettivamente, secondo molti il ciclo si estenderà nei prossimi anni a causa della presunta flessibilità della forza lavoro, il grado di automazione e l’effettiva difficoltà di fare un passo indietro nella globalizzazione”, spiega Iggo. Che aggiunge: “Se guardo i segnali che lancia il mercato obbligazionario, è difficile identificare dei fattori problematici nel breve periodo: non stiamo scontando poi così tanto in termini di rialzo dei tassi di interesse; l’inflazione di breakeven è salita (e potrebbe salire ancora), ma è ben entro il range degli ultimi 20 anni; la leva finanziaria è aumentata negli Stati Uniti nel settore corporate, ma non in modo pericoloso nell’immediato, e la liquidità resta abbondante ed è uno dei motivi per cui i rendimenti tedeschi sono così bassi”. Sul fronte del credito quindi non ci sono particolari segnali di tendenze negative a livello di upgrade e downgrade, né un generalizzato deterioramento della qualità del credito. “Dunque per il momento il mercato obbligazionario, ad eccezione dell’interpretazione ribassista dei rendimenti tedeschi a 2 anni, non sta lanciando segnali particolarmente negativi in merito al rally del rischio”, spiega lo stratogist. Che conclude: “Le valutazioni stanno salendo nel credito, quello è certo, ma da sole raramente attivano un cambiamento rilevante nelle tendenze del mercato”.