Rating ESG: pro e contro degli indicatori di sostenibilità
Il post pandemia e la guerra in Ucraina hanno rimesso sotto i riflettori il tema della sostenibilità negli investimenti, misurata attraverso i rating ESG. Il fattore ambientale (Environmental) in particolare è stato messo sotto scacco dalla crisi energetica. Ma cosa sono i rating ESG e come vengono elaborati? Quali sono i pro e i contro di questi indicatori sintetici di sostenibilità? Lo spiega Riccardo Valeri, Portfolio Manager di Kairos (asset manager con circa 5,6 miliardi di euro di masse in gestione a dicembre 2021), nel numero di settembre di EnSiGn Matter, la rubrica mensile dell’asset manager nata nel 2020 per comprendere la finanza sostenibile.
Rating ESG: cosa sono
Il rating ESG o rating di sostenibilità è una valutazione sintetica del virtuosismo di un’azienda, un emittente, un fondo o un Paese sotto il profilo ambientale (E), sociale (S) e di governance (G). È complementare al rating di credito tradizionale, che tiene in considerazione le sole variabili economico-finanziarie: lo scopo è aumentare le informazioni disponibili e quindi migliorare le analisi e le scelte d’investimento conseguenti.
I rating ESG vengono elaborati da agenzie specializzate nella raccolta e nell’analisi di dati sugli aspetti di sostenibilità. Negli ultimi anni la crescente attenzione del mercato finanziario a tali temi ha portato a una proliferazione di provider di valutazioni e rating in ambito ESG. Secondo quanto emerge dall’analisi effettuata dall’ESMA (European Securities and Markets Authority), il numero di provider di rating ESG attualmente attivi nell’Unione Europea è di 59. In ordine, tra le società di rating ESG più utilizzate dagli investitori abbiamo: MSCI ESG, Morningstar/Sustainalytics, ISS, S&P, Moody’s/VE, Refinitiv e a seguire tutti gli altri.
La maggior parte delle società di gestione sigla partnership con più di un provider ESG contemporaneamente. Questo perché permette sia di aumentare la copertura, sia per classe di attività che per area geografica, che di ricevere diversi tipi di valutazioni ESG da enti differenti.
I rating ESG sono un ottimo strumento di sintesi, ma come tutti gli strumenti sintetici non permettono di analizzare in maniera granulare le informazioni contenute in essi. Di conseguenza hanno sicuramente dei vantaggi ma anche alcuni limiti.
5 vantaggi dei rating ESG
Dal punto di vista aziendale, presentarsi al mercato come “azienda sostenibile” (cioè avere una buona valutazione ESG) incontra le esigenze degli investitori, sempre più attenti ai temi di sostenibilità. Per la Commissione Europea un approccio strategico nei confronti del tema della Responsabilità Sociale d’Impresa può portare benefici in termini di: gestione del rischio, riduzione dei costi, accesso al capitale, relazioni con i clienti, gestione delle risorse umane e capacità di innovazione.
Inoltre MSCI, nel paper di ricerca “ESG and the cost of capital”, ha dimostrato che esiste una correlazione tra il rating ESG e il costo del capitale e, nella fattispecie, una correlazione inversa: maggiore è il rating ESG, minore sarà il suo costo del capitale. Va da sé come un basso costo del capitale migliori la competitività e l’accesso al credito.
Dal punto di vista delle società di gestione, affidarsi totalmente a società terze per le valutazioni ESG è il modo migliore per far sì che venga assicurata l’indipendenza di giudizio e che il risultato non sia distorto dal campione di dati presi in considerazione e dalla sensibilità dell’analista sulle varie tematiche. Affidarsi totalmente ad agenzie terze limita inoltre al minimo il rischio di greenwashing, cioè di essere percepiti come ambientalisti di facciata.
Essendo poi i rating ESG dati alpha-numerici, quindi ordinabili, è facile costruirci sopra delle strategie di investimento ESG. La più comune è la cosiddetta “strategia Best-in-class”, dove si vanno a comprare tutte le società sostenibili, cioè con i rating ESG migliori, all’interno di ogni settore.
4 limiti dei rating ESG
A fronte di questi 5 vantaggi, hanno delle criticità che ne limitano un po’ l’utilizzo e che li rendono perennemente “work in progress”. Gli svantaggi principali sono la complessità e la mancanza di trasparenza delle metodologie utilizzate per il calcolo del rating ESG. Non esiste infatti una standardizzazione delle metodologie delle metriche analizzate e, di conseguenza, i risultati dei diversi providers sono difficilmente confrontabili, in quanto ogni provider considera dati eterogenei, combinati seguendo procedure diverse. Secondo uno studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT), la correlazione tra i rating ESG di providers diversi è pari a 0,55 (range 0,38-0,71), ergo molto bassa. Gran parte di questa eterogeneità è spiegata dalla diversa importanza che le agenzie attribuiscono ai vari indicatori chiave di performance (KPI) di sostenibilità. Le maggiori differenze si riscontrano per le componenti sociali e di governance, mentre appaiono più omogenei i giudizi sui fattori ambientali, in quanto molto più quantitativi.
“In generale, sarebbe auspicabile una convergenza che renda più omogenea la metodologia di valutazione, ma soprattutto una maggiore trasparenza. A tal proposito è molto importante il ruolo delle imprese quotate, poiché inevitabilmente conoscono le tecnologie produttive molto meglio degli analisti ESG e quindi sono in grado di elaborare indicatori precisi ed efficaci, partendo dal gran numero di informazioni che hanno a disposizione”, precisa Valeri.
Un altro difetto è il fatto che i rating ESG guardano solo al passato e non riflettono il potenziale di miglioramento di un’impresa né la sua vulnerabilità a possibili rischi futuri, basandosi le analisi delle società di rating principalmente sul bilancio di sostenibilità che, per definizione, riporta dati degli scorsi anni. Questo ritardo può penalizzare le imprese che oggi sono indietro sul fronte sostenibilità, ma che si stanno impegnando a migliorare e possono dunque comunque offrire opportunità di investimento redditizie.
La terza criticità riguarda l’accuratezza e la profondità dei dati ESG: è difficile fare un’analisi accurata su dati mancanti o errati. Inoltre, i provider di rating ESG fanno ampio ricorso a strumenti che estraggono dati dai siti web in maniera automatica (”web scraping”) e non sempre sono completamente affidabili. Per aggirare questo ostacolo, il Consiglio Europeo ha recentemente approvato ESAP, un database unico europeo che fornirà un accesso elettronico centralizzato alle informazioni relative alla sostenibilità. La piattaforma dovrebbe essere introdotta gradualmente e prevede che alcuni elementi essenziali diventino operativi tra il 2026 e il 2030.
L’ultima pecca è la copertura limitata del mercato. Un provider infatti normalmente assegna un rating ESG ad una società solo quando è presente in un indice principale. Man mano che la capitalizzazione diminuisce è sempre più probabile che la società non sia seguita da alcun provider (“not rated”). La bassa copertura sulle small-cap fa sì che i fondi ESG abbiano una tendenza a focalizzarsi solo sulle società di media grande dimensione, nonostante magari ci siano molte società all’avanguardia sotto il profilo di sostenibilità anche tra quelle di piccola dimensione.
Le soluzioni proposte da Kairos per rimediare ai punti di debolezza
“Riteniamo che il rating ESG sia una buona misura di sintesi da tenere in considerazione nella valutazione di una società sotto il profilo della sostenibilità, ma che non sia tutto”, commenta il Portfolio Manager di Kairos, che continua “Con l’obbligo per le aziende di pubblicare il bilancio di sostenibilità, oggi abbiamo a disposizione molte più informazioni che ci consentono di eseguire un’analisi ESG accurata. Secondo noi, è molto più importante andare ad analizzare ciò che sta alla base del rating, cioè i dati grezzi, per capire a pieno quali siano i parametri più importanti e come essi si siano evoluti nel tempo. Questo sempre tenendo conto anche della cosiddetta “materialità”, cioè quali parametri ESG siano da tenere in considerazione per ogni settore economico”
Secondo Valeri, a questo deve aggiungersi il lavoro indipendente dell’analista ESG che includa un engagement con i team manageriali e una comprensione dell’ecosistema in cui l’azienda opera. Solo “ingaggiando” le società si avrà infatti modo di discutere gli obiettivi per il futuro, valutarne la granularità, le assunzioni e l’arco temporale di raggiungimento.