Pil Usa rivisto al rialzo, ma timori rimangono. Bullard (Fed) teme strette monetarie aggressive
Revisione al rialzo per il Pil Usa del primo trimestre, che è cresciuto dell’1,2% su base annua, e non dello 0,7% come inizialmente reso noto.
La revisione al rialzo, tuttavia, non riesce a smorzare del tutto le preoccupazioni degli investitori, visto che il rallentamento rispetto al quarto trimestre – quando il Pil è avanzato del 2,1% – comunque c’è stato.
Si tratta inoltre del trend più debole dal primo trimestre del 2016, che stride con i numeri apparentemente confortanti che provengono dal mercato del lavoro.
Il dato complica inoltre ulteriormente la sfida di Donald Trump, che durante la campagna elettorale aveva promesso una crescita dell’economia al tasso del 4%, e che ha dovuto rivedere al ribasso le aspettative.
I funzionari della sua amministrazione ritengono ora più probabile una crescita del Pil al tasso del 3%.
La revisione al rialzo è stata possibile grazie alla crescita dei consumi – che incidono per oltre due-terzi sull’attività economica degli Stati Uniti -, che nei primi tre mesi dell’anno è stata dello 0,6%, e non dello 0,3% come inizialmente riportato.
Si tratta tuttavia, ancora, del tasso di crescita più basso dal quarto trimestre del 2009, che segue tra l’altro un balzo di ben il 3,5% nel quarto trimestre del 2016.
Non si può, insomma, certo brindare al dato, anche alla luce delle dichiarazioni proferite da James Bullard, presidente della Federal Reserve di St. Louis.
A suo avviso, il trend dell’inflazione, negli Stati Uniti, “è preoccupante”, in quanto esiste una differenza significativa tra i prezzi attuali e il livello a cui avrebbero dovuto trovarsi se la Fed fosse stata in grado, con le sue misure accomodanti degli ultimi anni, di centrare il target fissato al 2%.
Bullard – che non fa parte comunque del Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, e la cui view non può dunque condizionare il percorso dei tassi di interesse – ritiene che i prezzi al momento siano inferiori del 4,6% rispetto al periodo compreso tra il 1995 e il 2012, quando l’inflazione stava salendo a un ritmo vicino a quello desiderato dalla Fed.
“Non ci troviamo in una situazione grave come quella che il Giappone ha sperimentato negli anni Novanta – Bullard ha parlato da Tokyo, presso la Keio University – ma è preoccupante”.
Il banchiere ha nuovamente mostrato il suo volto da “colomba”, sottolineando che “i dati macroeconomici Usa sono stati relativamente deboli dal meeting di marzo” e che “nei mesi recenti sia l’inflazione Usa che le aspettative sull’inflazione hanno sorpreso al ribasso”.
Anche il miglioramento del mercato del lavoro, ha aggiunto, ha rallentato il passo.
La view del Fomc, che prevede altri due rialzi dei tassi Usa nel corso del 1917, alimenta i timori dello stesso Bullard, che ritiene che il ritmo delle strette monetarie potrebbe essere “troppo aggressivo, rispetto ai dati che stanno arrivando dal fronte economico Usa”.
Tornando ai dati relativi al Pil, è stata rivista al ribasso la componente delle scorte accumulate dalle aziende, che è ammontata ad appena $4,3 miliardi, contro i $10,3 miliardi resi noti lo scorso mese, e rispetto alla cifra di $49,6 miliardi, del periodo ottobre-dicembre.
Peggiore di quanto inizialmente riportato anche la spesa delle aziende per le infrastrutture, salita del 7,2% nel primo trimestre dell’anno, e non del +9,1% reso noto in precedenza.
In generale, il dato sul Pil è stato migliore delle attese. Gli analisti di Reuters avevano previsto una revisione al rialzo limitata a +0,9%.