A Piazza Affari è iniziata la volatilità pre-elettorale. A preoccupare anche euro forte e calo liquidità
A Piazza Affari è iniziata la volatilità pre-elettorale, come più volte prevista nelle analisi delle case d’affari. La maggior parte dei broker si aspettava un certo nervosismo prima delle elezioni, che si terranno il 24-25 febbraio, anche se quasi nessuno ha parlato di panic selling o del verificarsi di situazioni analoghe al novembre 2011, quando ci fu il passaggio al Governo tra Silvio Berlusconi e Mario Monti. Ieri i primi sintomi del nervosismo si sono fatti sentire: l’indice Ftse Mib ha messo a segno la peggior seduta da inizio 2013, lasciando sul parterre il 4,5%, e lo spread Btp-Bund è salito in area 290 punti base dai circa 260 punti base di venerdì scorso. A pagare dazio i titoli del comparto bancario e alcuni pilastri dell’industria tricolore, come Fiat e Finmeccanica. Oggi, dopo alcuni minuti in territorio negativo, il paniere guida di Milano ha subito virato al rialzo e ora guadagna circa 1 punto percentuale a 16.700 punti.
I quotidiani finanziari internazionali, specie il Financial Times e il Wall Street Journal, già ieri pomeriggio avevano la loro spiegazione sul crollo di Piazza Affari. A far scattare l’ondata di vendite sul listino milanese, secondo gli autorevoli quotidiani, le incertezze elettorali in Italia e lo scandalo dei presunti fondi neri scoppiato in Spagna nel partito del premier Rajoy. Andando più nel dettaglio, il Wall Street Journal ha citato come fonte di preoccupazione sui mercati la risalita nei sondaggi di Silvio Berlusconi dopo le ultime proposte elettorali. Domenica, infatti, il Cavaliere ha promesso che, in caso di vittoria, è pronto a togliere l’Imu e a restituire l’imposta sulla prima casa pagata nel 2012.
Fin qui le speculazioni pre-elettorali, ma Morgan Stanley ha cercato invece di spostare lo sguardo più sui fondamentali che non sulla campagna elettorale. La tesi centrale di Laurence Mutkin, rate strategist della banca Usa, è che il calo del rischio sistemico sovrano non poggia su motivazioni reali e che quindi il momento di grazia per i mercati europei potrebbe essere al capolinea. Sono due, a detta di Morgan Stanley, i fattori destinati a innescare la nuova fase della crisi del debito: il rafforzamento della moneta unica e la risalita dei tassi interbancari.
“Sul valutario le ultime settimane sono state caratterizzate dall’avanzata dell’euro, vittima designata della nuova guerra delle valute innescata dalle politiche ultra espansive messe in campo dalla statunitense Federal Reserve e dalla Bank of Japan”, spiega il broker americano. Il secondo elemento destinato a innescare la nuova fase della crisi del debito è rappresentato dalla ripresa dei tassi interbancari. Il calo della liquidità provocato dai rimborsi dei prestiti elargiti tramite Ltro dalla Bce, dovrebbe, secondo Mutkin, favorire un rialzo dei tassi di mercato.