100 dollari per un barile di petrolio. A Londra il Brent continua anche oggi ad essere sostenuto dalla speculazione. È la prima volta da ottobre 2008 che il greggio di riferimento europeo raggiunge questa soglia. E’ stata la crisi egiziana ad infiammare i prezzi. Il Brent, il greggio del Mare del Nord, punto di riferimento del mercato europeo, è volato ieri per la prima volta in due anni oltre i 100 dollari al barile e oggi non indietreggia. Che la situazione all’ombra delle Piramidi sia critica è evidente anche per Standard & Poor’s che questa mattina ha tagliato il rating sul debito sovrano dell’Egitto da BB+ a BB. Sulla decisione ha pesato la rivolta popolare che dalla scorsa settimana ha aperto una grave crisi politica nel paese arabo.
Gli analisti dell’agenzia di rating hanno annunciato nuove possibili revisioni al ribasso nel giro dei prossimi tre mesi per riflettere l’instabilità politica. A loro avviso il deficit del paese nordafricano potrebbe diventare a doppia cifra. “La revisione del rating riflette le aspettative che le violente dimostrazioni della scorsa settimana possano prolungarsi nonostante la nomina del vice presidente e le dimissioni del governo del premier Hosni Mubarak lo scorso 29 gennaio 2011”, spiega nella nota fresca di stampa Kai Stukenbrock, credit analyst di Standard & Poor’s. Ieri un’altra agenzia di rating, Moody’s, ha declassato il debito dell’Egitto da Ba1 a Ba2, passando l’outlook da stabile a negativo.
Quanto basta per non far abbassare la guardia su una situazione che potrebbe sfuggire di mano. L’Egitto non è un produttore fondamentale di petrolio, ma ad influenzare i mercati è il timore che due rotte critiche per l’approvvigionamento, il Canale di Suez e l’oleodotto Sumed, attraverso i quali transita su territorio egiziano circa il 4,5% della produzione globale di greggio, possano essere interrotte a causa dei disordini. Sono oltre un milione i barili di greggio che transitano, infatti, ogni giorno dal Mar Rosso al Mediterraneo. Come osservano gli analisti di Barclays, tre erano fino a ieri le aree geopolitiche di maggiore preoccupazione sul fronte oil: la Nigeria, l’Iraq e l’Iran. Ma adesso i recenti tumulti in Egitto e Tunisia hanno fatto spostare il focus. “La crisi in essere in Egitto ha provocato nuove preoccupazioni sul Canale di Suez”, riconoscono gli esperti della banca inglese.
I tracciati hanno finora funzionato normalmente, a piena capacità, secondo i media ufficiali egiziani, ma l’incertezza resta sovrana. L’instabilità politica in Egitto e Tunisia non dovrebbe avere un impatto rilevante sull’economia mondiale, secondo il direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), Dominique Strauss-Kahn, che prevede che l’eventuale impatto sul mercato del malcontento popolare può essere solo temporaneo. Eppure, a Bruxelles da ieri seguono col fiato sospeso la crisi egiziana e le ombre che si allungano sul Medio Oriente. La paura dell’Eurotower è accompagnata soprattutto dalla ancor più grave preoccupazione di un rischio contagio. Sullo sfondo restano, infatti, i dubbi sulla possibile estensione del conflitto anche al Medio Oriente
Un’eventualità che getterebbe nel caos la produzione e l’esportazione di greggio in tutto il mondo. Dopo aver flirtato per settimane con la soglia psicologica dei 100 dollari, senza tuttavia mai superarla, il Brent è arrivato ad infrangere il muro delle tre cifre, arrivando fino a 101 dollari, mentre a New York, il crude è arrivato ad oltre 92 dollari. A poco sono valse le rassicurazioni dell’Opec, pronto a aumentare la produzione nel caso le forniture dovessero subire uno stop o un rallentamento. “Se assisteremo ad una reale carenza dovremo aggiungere”, ha affermato il segretario generale dell’organizzazione, Abdalla el-Badri, assicurando però che al momento la situazione non è affatto fuori controllo.
La chiusura dell’oleodotto Sumed potrebbe, infatti, causare un’insufficienza di greggio, ma il mercato, ha evidenziato, continua ad essere ben fornito, con scorte di alto livello. Il passaggio attraverso il Canale di Suez è stato interrotto in coincidenza con i conflitti arabo-israeliani nel 1956, nel 1967 e nel 1975, costringendo le petroliere a circumnavigare l’Africa, in un percorso lungo e oneroso, per raggiungere l’Europa. Secondo gli analisti, se il caso dovesse ripetersi, avrebbe tuttavia questa volta un impatto ben più limitato, essendo ormai l’epicentro della richiesta di petrolio spostato decisamente verso l’Asia.