Notizie Valute e materie prime L’oro nero ritorna sui livelli del febbraio scorso

L’oro nero ritorna sui livelli del febbraio scorso

15 Settembre 2008 14:44

Se le prospettive di crescita economica globale si fanno sempre più fosche e l’umore dei mercati finanziari è tornato ad essere nero dopo il fallimento di Lehman Brothers che dire del petrolio che fino a pochi mesi fa sembrava rappresentare una delle rare certezze rialziste del mercato ma che è tornato sotto quota 100 dollari al barile? Nero anche lui naturalmente, e non solo per la sua caratteristica tonalità.


Il prezzo del Light crude ha toccato oggi minimi intraday a 94,13 dollari al barile, livelli che mancavano dallo scorso inverno. Dai picchi di metà luglio vicino a 147 dollari, il ribasso ammonta a circa 36 punti percentuali. In due mesi è una bella discesa per una materia prima che alcuni analisti avevano già previsto a 200 dollari al barile. Vedi alla lettera M, come Arjun R. Murti, l’esperto di Goldman Sachs che in tempi non sospetti aveva pronosticato lo sfondamento della soglia dei 100 dollari al barile poi puntualmente verificatosi. Che stavolta la previsione sia stata sbagliata è ancora da dimostrare visto che l’appuntamento con la nuova soglia dovrebbe arrivare entro il 2010. Per il momento, tuttavia, l’oro nero sembra aver intrapreso una strada opposta dettata dal peggioramento delle condizioni di crescita globali e dai danni relativamente contenuti alle installazioni petrolifere del Golfo del Messico dopo il passaggio degli uragani Gustav e Ike.


Nemmeno l’intervento dell’Opec, che ha tagliato la produzione di petrolio di 500.000 barili al giorno è riuscito a invertire la tendenza ribassista, dimostrando una volta di più la diminuita influenza delle decisioni dell’organismo dei Paesi produttori sulle quotazioni dell’oro nero.


Se per i consumatori il ritracciamento delle quotazioni del petrolio è stato un toccasana, anche se per quelli del Vecchio continente in parte controbilanciato da un contemporaneo apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro, viene da chiedersi per quanto tempo si potrà godere di questa boccata d’ossigeno.


Sgombrando il campo dai fattori temporanei e “temporali” (Gustav, Ike e loro fratelli) che comunque si rifletteranno sull’accumulo di scorte per i mesi autunnali e invernali, rimane sullo sfondo la crescita globale e la fame di energia dei Paesi emergenti. Per questa è difficilmente prevedibile una riduzione ma poco importa. La revisione al ribasso delle stime di domanda operata dall’International energy agency per il 2008 e per il 2009, rispettivamente 100.000 e 140.000 barili al giorno nell’ultimo report, ha allontanato gli speculatori al rialzo dal mercato. Considerando che le previsioni sulla crescita globale non possono che peggiorare alla luce degli ultimi avvenimenti, allo stato attuale dei fatti è difficile prevedere una decisa e duratura ripresa delle quotazioni del petrolio.


Il fenomeno economico che è stato capace di fermare la corsa del petrolio ha un nome poco gradito: recessione. Per il Vecchio continente si tratta di un appuntamento praticamente certo. Per gli Usa potrebbe diventare realtà nonostante gli sforzi finora profusi dal governo e dalla Federal Reserve. Il fallimento di Lehman Brothers non rimarrà infatti confinato ma è destinato ad estendere i suoi effetti su molti settori dell’economia. La quarta investment bank degli Usa era una delle più attive a livello globale nell’emisisoni di titoli obbligazionari, conservati nei portafogli dei più svariati investitori istituzionali. Il mancato salvataggio ha dato un’indicazione di segno contrario al mercato rispetto a quanto emerso solo la settimana prima con la nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, ossia che non tutti potranno godere dello stesso trattamento. Contraccolpi si avranno sul mercato del lavoro, già messo a dura prova e da dove sono giunti recentemente dati profondamente deludenti (84.000 salariati in meno nei settori non agricoli nell’ultima rilevazione).


Infine, a pesare sulla bilancia del ribasso del petrolio, l’incognita delle elezioni statunitensi di novembre. Al grido di “Drill baby drill” la convention repubblicana ha segnalato chiaramente quale potrebbe essere una delle direttrici della sua politica. Nuovi pozzi, nuove esplorazioni. Se dovessero affermarsi i repubblicani la corsa del petrolio, che sicuramente prima o poi riprenderà, ci metterà ancora un po’ più di tempo a ingranare la marcia.