Ok Senato a riforma fiscale Usa. E ora? A Wall Street si scommette su asset management, banche, hi-tech
Con il voto dei repubblicani al Senato, un altro scoglio per l’approvazione di quello che è stato definito il bazooka fiscale di Donald Trump è stato superato. Entusiasta il presidente americano, che ha twittato: “La più grande riforma fiscale e i più grandi tagli alle tasse della storia sono stati appena approvati al Senato. Ora questi grandi repubblicani lavoreranno per il passaggio finale. Grazie sia ai repubblicani della Camera che del Senato per il vostro duro lavoro e per il vostro impegno!”.
Ancora, ricordando il let motiv della sua politica economica, che si riassume nel motto “America First”, Trump ha scritto dal suo profilo su Twitter che “il voto per tagliare le tasse è un voto che mette al primo posto l’America (put America first)”.
Continuando:
“E’ arrivato il momento di prenderci cura dei nostri lavoratori, di proteggere le nostre comunità, di ricostruire il nostro grande paese”.
Epico, storico, rivoluzionario: così è stato presentato il piano di riforma fiscale di Trump, prima durante i giorni infuocati della campagna elettorale e successivamente dopo la vittoria di Trump. Le aspettative sul suo arrivo hanno messo il turbo ai mercati, che hanno puntato tutto sui tagli fiscali.
E ora? I repubblicani del Senato hanno approvato la riforma fiscale degli Stati Uniti ma, affinché i tagli siano operativi, c’è bisogno prima di tutto che le due versioni diverse votate dalla Camera e al Senato trovino più di un punto in comune.
Sulla scrivania di Trump dovrà arrivare infatti, per essere firmato, un unico disegno di legge. E il punto è che tra le due proposte le divergenze non mancano. In particolare Alex Phillips e Jan Jatzius, analisti di Goldman Sachs, prevedono che la struttura finale della proposta rifletterà più quella del Senato che non della Camera, inclusi il taglio delle tasse al 20% per le aziende, efficace soltanto a partire dal 2019 e i limiti più severi sulla deducibilità degli interessi netti.
Le due proposte includono comunque entrambe un tetto di $10.000 per la deducibilità delle tasse sugli immobili statali e locali, e tale fattore, secondo alcuni esperti “elimina la differenza politica più importante tra i due disegni”.
Ma, in generale, quali saranno i settori di Wall Street che beneficeranno maggiormente della rivoluzione fiscale targata Trump?
Un articolo di Bloomberg mette in evidenza che, a brindare alla riforma, potrebbero essere i titoli delle società di asset management, molti dei quali sono già balzati a valori record negli ultimi giorni. Tra le performance più di rilievo, quelle di Federated Investors, Bank of New York Mellon, Franklin Resources, Waddell & Reed Financial e Eaton Vance. Questo perchè, come spiega Bloomberg, di norma il comparto paga tasse comprese tra il 30-35%, più alte rispetto a quelle versate da altre industrie, se si considera anche che tali imprese, stando a quanto confermato la scorsa settimana da Madrae Sykes di Gabelli, possono contare su minori deduzioni.
Le novità che saranno rese esecutive attraverso la riforma permetteranno ora alle società di beneficiare anche dei tagli alle tasse sulle persone fisiche, in quanto gli investitori individuali, avendo più risorse a disposizione, potranno “devolvere una parte più rilevante del loro reddito e delle ricchezze ereditate” nei fondi di investimento e negli ETF, “aiutando i gestori a far crescere sia le masse gestite degli asset che le relative commissioni”, stando a quanto scrive Rory Callagy, vice direttore generale senior presso Moody’s Investors Service.
Altro settore vincente sarà quello delle banche che, secondo Isaac Boltansky, analista presso Compass Point Research & Trading si confermerà “tra i più chiari beneficiari della riforma”.
Se il taglio fiscale si tradurrà, infatti, in una ulteriore accelerazione della crescita economica, le banche assisteranno a una espansione del proprio portafoglio prestiti, oltre a trarre vantaggio dalla riduzione complessiva delle tasse sulla corporate America (anche agli istituti di credito Usa, in base alla normativa vigente, è riconosciuto un numero minore di deduzioni rispetto ad altri comparti).
La lista dei vincenti include anche i colossi biotech e farmaceutici che, in generale insieme alle altre multinazionali, trarranno vantaggio dalla tassa più bassa che verrà applicata sugli utili rimpatriati.
Tuttavia, questi soldi non andranno ai lavoratori. Gli stessi dirigenti senior di Pfizer e Amgen hanno già detto che utilizzeranno il cash rimpatriato per premiare gli azionisti, con operazioni di buyback e aumento dei dividendi. Con il nuovo capitale a disposizione, i giganti del settore potrebbero anche rinfocolare il mercato M&A, inaugurando una nuova era di fusioni e acquisizioni.
A proposito di chi ha tanto cash all’estero, la riforma non potrà non avere effetti sui colossi tecnologici del calibro di Apple, Microsoft, Alphabet (holding a cui fa capo Google) e Oracle.
In generale, tutte le società americane hanno utili all’estero per un valore di $3,1 trilioni. Nel caso solo di Apple, la cifra è di $252,3 miliardi, il 94% del suo cash totale.