Nella Turchia di Erdogan politica monetaria di tagli ai tassi diventa una religione. ‘La vuole l’Islam’. Lira e popolazione turca allo stremo. L’attenti di El-Erian
E ora la folle politica monetaria della Turchia ordinata da Recep Tayyip Erdogan diventa l’espressione massima della fede nell’Islam.
Lo dice proprio lui, Erdogan, il presidente che sta portando il proprio paese allo stremo, a causa del crollo record della lira e della fiammata dell’inflazione, esacerbata da una politica monetaria espansiva a dir poco scatenata.
Politica che si è tradotta la scorsa settimana nell’ennesimo taglio dei tassi di interesse da parte di una banca centrale ormai ‘puppet’, fantoccio, pari a 100 punti base, al 14%.
Da settembre i tassi in Turchia sono scesi di 500 punti base, in controtendenza rispetto alle altre banche centrali che stanno iniziando a inasprire le loro politiche monetarie in risposta alla crescente inflazione.
Ma per Erdogan le cose vanno al contrario: dichiaratosi “nemico dei tassi”, il presidente turco ha dato il via a una politica monetaria a dir poco stramba, che cerca di combattere l’inflazione galoppante nel paese- oltre il 21% nel mese di novembre – non con una serie di rialzi dei tassi, dunque con eventuali strette monetarie – ma con il contrario, ovvero con una politica ultra-dovish, fatta di continui tagli dei tassi.
Il risultato di quella che viene ormai definita follia monetaria – che va a braccetto ormai con licenziamenti di esponenti della banca centrali da vera e propria purga – è, oltre a un’inflazione che ovviamente non solo non arretra ma si radica sempre più nell’economia – la svalutazione della moneta, ovvero il tonfo della lira turca che, già la scorsa settimana era scivolata al nuovo minimo record nei confronti del dollaro Usa, posizionandosi per la prima volta oltre quota 15 (15 lire per 1 dollaro Usa).
Al peggio però non c’è mai fine, ed Erdogan ha continuato a delirare nelle ultime ore fino a tirar fuori la religione, pur di giustificare la carrellata di tagli dei tassi:
“Qual è il punto? – ha detto in un intervento televisivo di ieri, domenica 19 dicembre – Stiamo abbassando i tassi di interesse. Non aspettatevi nulla di diverso da me”. Anzi: “Come musulmano, continuerò a fare quello che è richiesto dalla ‘nas’, parola turca che fa riferimento agli insegnamenti dell’Islam, equivalente di espressioni come ‘decreto divino’, ‘legge scritta’.
Turchia: Erdogan invoca Islam, politica monetaria diventa una fede
Insomma, ormai in Turchia, stando alle parole di Erdogan, la politica monetaria è una fede, una religione, un credo monetario (commento: cosa non si fa per essere populisti).
Tra l’altro, ricorda Bloomberg, è la seconda volta in un mese che Erdogan invoca la religione pur di giustificare la politica monetaria in atto.
La lira crolla? Per il presidente il vero motivo è l’assedio economico contro la Turchia, di certo non l’esito di una strategia a dir poco strampalata.
Oggi la valuta ha bruciato così più del 6% del suo valore, crollando al nuovo minimo di sempre nei confronti del dollaro, fino a 17,624 lire per dollaro Usa, nella sua quinta sessione di ribassi.
L’emorragia è palese, se si considera che, dall’inizio dell’anno, la lira turca è capitolata del 57%.
In un report menzionato da Bloomberg, gli analisti di Danske Bank A/S, Minna Kuusisto e Jakob Christensen, hanno emesso il loro verdetto:
a meno che Erdogan non faccia dietrofront, “i tassi di interesse (in Turchia) più bassi, l’indebolimento dei fondamentali e l’inasprimento delle condizioni finanziarie globali continueranno ad affossare la lira“.
Ma Erdogan non dà segni di cedimento, tutt’altro:
il suo credo monetario si basa sulla convinzione che la Turchia possa diventare indipendente dai capitali esteri.
Come? Non accettando, in primis, una politica monetaria che dia priorità a tassi di interesse più alti e alla necessità che il paese attragga significativi capitali esteri.
Il presidente è convinto del contrario, ovvero del fatto che bassi tassi di interesse siano necessari anche per ridurre la crescita dell’indice dei prezzi al consumo, ovvero dell’inflazione:
“Ovviamente, siamo a conoscenza dell’impatto che l’aumento dei prezzi ha sulla vita di tutti i giorni dei cittadini – ha detto Erdogan – Ovviamente, siamo consapevoli dell’instabilità provocata dalle fluttuazioni della lira e dal suo impatto sui prezzi”. Ma noi “continueremo ad opporre resistenza – ha tuonato per l’ennesima volta Erdogan – E lo dico da qui: noi non cederemo“.
Turchia, Erdogan populista sobilla il popolo contro gli stranieri
Erdogan sta praticamente dicendo alla sua gente – martoriata dalla crisi – che, alla base dell’inflazione monstre, non c’è la politica monetaria ultra dovish che lui stesso ha ordinato alla banca centrale di adottare, pena la purga che ha già colpito diversi esponenti dell’istituzione, ma una serie di attacchi speculativi portati avanti dagli investitori stranieri. Tanto da parlare qualche settimana fa di una “guerra di indipendenza economica” che la Turchia starebbe portando avanti per liberarsi dall’influenza straniera.
Invece no: come ha fatto notare l’economista Murat Kubilay nel suo articolo recente dal titolo ‘Turkey’s self-made currency crisis“, in realtà sono stati “gli investitori domestici, ovvero i turchi stessi, l’elemento chiave che ha scatenato l’attuale crisi valutaria, con il loro desiderio di vendere la lira, innescato da un tasso di interesse (stabilito dalla banca centrale ‘puppet’ CBRT) più basso del tasso di inflazione (l’articolo risale al 3 dicembre scorso, quando il tasso ufficiale di interesse era ancora pari al 15% – prima dell’ultimo taglio dei tassi che lo ha portato al 14% – , a fronte di un tasso di inflazione pari al 19,89% (aggiornato poi con il dato di novembre al 21,3%).
Turchia, El-Erian: diminuisce fiducia investitori in banca centrale (puppet)
In questa situazione, come ha spiegato Mohammed El-Erian in un recente commento pubblicato su Bloomberg è ovvio che, a fare la loro parte, sono stati anche i flussi di capitale in uscita dalla Turchia, provocati dalla decisione degli stranieri di ritirare i fondi e di fuggire, praticamente, dal paese.
D’altronde, la fiducia nella capacità della banca centrale di stabilizzare la moneta sta diminuendo di pari passo con ogni intervento fallito, e questo fattore erode anche le riserve estere“.
Detto questo, l’ex numero uno di Pimco, ora responsabile economico di Allianz, ha fatto notare che, in base a qualsiasi parametro si prenda come riferimento, la lira sta reagendo in realtà alle mosse della banca centrale (anche se fuori luogo) in modo spropositato, soprattutto se si considerano alcuni fattori economici, che includono la continua crescita del surplus delle partite correnti.
“Questo però non significa che (la lira turca) non possa fare peggio – ha avvertito l’economista -, visto che la storia delle crisi valutarie avvenute nei mercati emergenti pullula di esempi di paesi che non sono stati capaci di contenere e di ribaltare il trend delle (relative) monete, prima di soffrire ulteriori danni”.
Di conseguenza, ha avvertito El-Erian, “più a lungo il disordine valutario persisterà (in Turchia), più il ribaltamento della politica monetaria della banca centrale si trasformerà dall’essere al momento sia necessario che sufficiente, semplicemente necessario“.
Non solo:
“la Turchia potrebbe trovarsi già al punto in cui non solo necessita di aggiustamenti di politica interna ma anche di una qualche forma di aiuto supplementare esterno. E, sebbene il paese considererà sicuramente l’opzione di introdurre i controlli sui capitali, l’appetibilità dei capitali stessi sarà oscurata dal potenziale danno strutturale e reputazionale inflitto a un paese che è cresciuto in quanto aperto al commercio e agli investimenti globali”.
“I controlli sui capitali – ha ammonito El-Erian – smorzerebbero anche l’entusiasmo di quegli investitori potenzialmente interessati a far parte della ripresa finanziaria (del paese) da livelli così depressi”.
Così è nel paese dove l’impennata dei prezzi è tale da portare perfino il colosso americano Apple a mettere al bando la lira turca e i turchi, dal canto loro, a vedere gli iPhone alla stregua di beni di investimento, in quanto ormai miraggio.